L’opinione di Olimpia Bossi

«un gesto consapevole, l’intento era quello di evitare disservizi e blocchi. le anomalie del sistema avrebbero richiesto lavori prolungati»

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IL FATTO
Tragedia di stresa: la procuratrice di verbania ha identificato i tre responsabili, il gip ha poi frenato l’inchiesta. Ma la sostanza non cambia

Ha affrontato con equilibrio e al tem­po stesso emotiva partecipazione la difficile gestione del caso Stresa-Mottarone, la funivia ca­duta due domeniche fa e che ha drammaticamente provocato 14 vittime.
Olimpia Bossi è la procuratrice di Verbania a cui è stata affidata l’inchiesta decisamente più scottante del momento.

Lombarda, nata a Busto Arsizio, non è iscritta ad alcuna corrente della magistratura.
Ha due figli, uno di 20 anni che studia In­ge­gne­ria e un altro di 25 che vorrebbe diventare giudice come lei.
Nel 2016, quando non aveva ancora compiuto 50 anni, è diventata la più giovane dei magistrati a capo di una procura. Nei giorni scorsi ha incassato una mossa inattesa da parte del Gip che ha disposto l’uscita dal carcere dei tre fermati: «Solo supposizioni».

Il capo servizio Gabriele Tadini è stato mandato ai domiciliari, il gestore Lui­gi Nerini e il direttore Enrico Perocchio sono stati scarcerati.

«Indagini e processo non finiscono qui», ha detto la procuratrice commentando la scelta del giudice per le indagini preliminari di Verbania che è un’altra donna, Donatella Ban­ci Buonamici. «Le indagini proseguiranno, il Gip non ha smontato il nostro im­pianto accusatorio», ha detto Bossi.

Dopo aver decretato i fermi, la procuratrice ave­va sottolineato come quello degli imputati fosse stato un «gesto consapevole».

Il freno della funivia sarebbe stato disattivato con lo scopo di evitare una manutenzione più ra­dicale e anche il blocco della stessa funivia durante le sue corse.

L’analisi dei reperti ha permesso agli inquirenti di accertare che «la cabina presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso». L’intento era quello di «evitare disservizi e blocchi. Ma il sistema presentava anomalie e ci sarebbe stato bisogno di un intervento più radicale con un blocco se non prolungato, comunque consistente».

Ovvero, una possibile pausa del servizio con conseguenti mancati guadagni, a pochi giorni dalla riapertura della linea dopo l’emergenza Covid.

Il fatto che i gestori possano aver preso una decisione così atroce (l’unico sopravvissuto all’incidente è il piccolo Eitan, 5 anni), per ragioni di cinica opportunità, ha scosso l’o­pinione pubblica prendo il dibattito sulla re­sponsabilità etica di un sistema economico basato sul profitto.

Ma non si vede come possa essere giustificata una scelta che ha spinto a disattivare il freno d’emergenza.