Davide palluda «Il mio piatto migliore è quello che farò domani»

Come in sella a una bici, anche per uno chef stellato, più di ogni altra cosa, conta la strada ancora da percorrere, senza mai perdere l’entusiasmo

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A Canale gioca in casa. Anzi, in cucina. Davide Palluda, chef del ristorante stellato “All’E­noteca”, è un interlocutore ricco di suggestioni, come le strade del Roero che la “carovana rosa” percorrerà per arrivare nella “capitale del pesco”.

Chef Palluda, come è nata la sua passione per la cucina?
«Direi in modo spontaneo, lento, ma non casuale. Ho la fortuna di essere nato in una famiglia in cui, benché nessuno lo facesse di mestiere, la cucina è sempre stata argomento di primario interesse. Partendo dalla passione bisogna però arrivare alla consapevolezza che solo rimettendosi in discussione ogni giorno e dando il meglio di se stessi si possono raggiungere obiettivi sempre più importanti».
E gestire un ristorante stellato nel proprio paese natale di certo rientra tra gli obiettivi importanti. Cosa rappresenta per lei?
«È stimolante e allo stesso tempo un tavolo di confronto quotidiano. Chi, come me, decide di aprire un ristorante in provincia si rende conto fin da subito che, per ottenere risultati, dovrà garantire una ristorazione somigliante ai luoghi che lo circondano. Questa consapevolezza, unita all’esperienza, all’estro e alla tecnica, fa sì che si crei uno stile unico».

A proposito di stile in cucina, come descriverebbe il suo?
«Sono piuttosto convinto che la ricerca del proprio stile in cucina sia il cruccio che accompagna i cuochi per tutta la loro carriera. Qualcuno dice che per far­ emergere il proprio stile bisogna saper miscelare in modo equilibrato ciò che si sa fare, ciò che si ama mangiare e ciò che si ha a disposizione. Ed è quello che provo a fare io».

Partiamo da quello che sa fare… Qual è il piatto che le riesce meglio in assoluto?

«Spero vivamente che sia quello che farò domani, perché devono mai venir meno la voglia e l’ambizione della ricerca di quello che per noi è il piatto perfetto. Ultima­mente mi sto appassionando di nuo­vo ai “dessert”, un mondo che rappresenta una mia vecchia passione da cui negli anni mi sono allontanato un po’, per mancanza di tempo. Ora grazie a Luca, un ragazzo che lavora con me e mi stimola su questo fronte, stiamo facendo un percorso molto introspettivo e interessante. I risultati si vedranno già con l’uscita del nuovo menù…».

L’ingrediente che non deve mai mancare?
«Oltre alla passione, che è sempre il punto di partenza, sono parecchi gli ingredienti a cui non posso rinunciare. Nell’ultimo periodo uno degli elementi immancabili nei miei piatti è la frutta. Si tratta di un ritorno alle origini, verso una cucina più tipicamente roerina, la quale si colloca nel solco di quella di Langa, differenziandosi da essa per l’uso della frutta, alla cui coltivazione la Sinistra Tanaro è particolarmente vocata. La frutta mi stuzzica parecchio, specie nella realizzazione di piatti salati».

Oltre alla frutta, la sua cucina ha saputo valorizzare altre eccellenze e­no­gastro­no­miche del Roero. Ora, anche alla luce della pandemia, su cosa occorre puntare?
«Alla luce della pandemia, ma anche dando seguito alle richieste che ci hanno rivolto i clienti, credo che bisognerà tornare a un abbraccio vero, forte, anche fisico quando sarà possibile, ma in primo luogo simbolico. Un abbraccio inteso come accoglienza con il sorriso, predisposizione al bello e all’ospitalità»

Pensa che la pandemia abbia avuto o avrà effetti sulla sua cucina?
«Spero e credo che la mia cucina non sia stata e non sarà influenzata dall’emergenza Covid. Ritengo sia giusto proseguire sulla scia del cammino fatto prima dell’inizio di questo periodo sospeso. Un percorso basato sulla concretezza, sull’eleganza, sul tentativo di non essere scontati e di staccarsi dal paravento della tradizione, cominciando a pensare a un’evoluzione neoclassica. Questo sarà il Rinascimento, quello vero, della cucina».

Chiudiamo con una domanda sportiva. Quelle scarpe da ginnastica al collo con cui si mostra sul suo sito Internet lasciano intuire che le piaccia fare sport. Sarà mica un ciclista mancato…
«Assolutamente no. Non sono un ciclista mancato, ma dedico parte del mio tempo libero alla corsa. Sono un “runner” e devo dire che questa pratica, oltre a farmi bene fisicamente, mi libera la mente. È come se mi sollevasse da terra: indosso quelle ali, di cui sovente vorremmo disporre per volare via, e mi colloco al di sopra del territorio, guardandolo da prospettive diverse. La corsa ti dà proprio questo tipo di supporto, ti pone alla giusta distanza per farti prendere consapevolezza di dove vivi, di come devi lavorare per fare bene, di quali ingredienti devi far u­so, alimentando nello stesso tempo un grande senso di re­spon­sabilità e di appartenenza, che sono fondamentali più che mai in questo periodo».