La campagna vaccinale contro il Sars-CoV2

«È importante creare un fronte coeso e determinato in questa fase della sfida al Covid-19», secondo Marco Aragno, direttore sanitario del Centro Medico Della Valle-Gruppo Bios di Alba

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«Ci troviamo di fronte a una pan­demia che può es­se­re affrontata e superata solo se a ispirarci sono principi e valori che trascendano gli interessi dei singoli o delle nazioni, in favore di quelli della collettività e di una necessità sempre più im­pellente di un ritorno a una parvenza di normalità, di socialità, di condivisione e vicinanza che questo virus sta alienando. È in quest’ottica che mi unisco all’appello a favore della campagna vaccinale che è recentemente partita a livello nazionale e mondiale, iniziando dagli operatori sanitari ed è a loro che mi voglio rivolgere in particolare, perché dobbiamo essere i primi a testimoniare con il nostro esempio e un atto di responsabilità la necessità assoluta di una scelta che oltre a essere protettiva per sé stessi, permetta di ridurre la catena di trasmissione del virus alla popolazione».

È con queste parole che Mar­co Aragno, direttore sanitario del Centro Medico Della Valle di Al­ba, appartenente alla famiglia del Gruppo Bios, sottolinea l’importanza di un fronte coeso e determinato in questa fase della sfida al Covid-19, che non può prescindere da una campagna vaccinale efficace e il messaggio vuole essere di speranza, nonostante la strada sia ancora lunga e tortuosa, dato che a fronte di due milioni di decessi nel mondo e quasi 100 milioni di contagiati, solo dieci paesi hanno dato inizio alla campagna vaccinale.

«L’emergenza pandemica Sars-CoV2 ha comportato, da marzo 2020, l’entrata in vigore di un numero enorme di normative governative nazionali, regionali e comunali oltre alla pubblicazione di numerose linee guida tecniche da parte di enti nazionali e internazionali. Tutto questo lavoro ha avuto lo scopo, in parte raggiunto, di contenere e limitare la diffusione del virus Sars-Cov2 e l’esperienza di questi 10 mesi ci sta aiutando a gestire la nuova fase di crescita dei numeri, nell’ottica di scongiurare una fase 3. In particolare mi riferisco al comparto lavorativo in relazione alla mia esperienza diretta come medico del lavoro e all’attività quotidiana svolta in collaborazione con le aziende in questi mesi. Devo dire che l’impegno da parte delle a­ziende locali nell’affrontare la pandemia è stato encomiabile, come la loro capacità di adattarsi alle continue variazioni ed evoluzioni tecnico-scientifiche proposte, derivanti dalle evidenze e­merse durante l’anno che hanno permesso di guidare e ritarare i protocolli anti-contagio con parziale successo. Ritengo fondamentale in questo percorso il ruolo che hanno avuto gli strumenti di “screening” e di diagnosi che sono stati messi a disposizione delle aziende non appena disponibili. Mi riferisco ai test sierologici qualitativi e quantitativi e ai tamponi antigenici e molecolari che hanno permesso in molti contesti e situazioni di limitare considerevolmente la diffusione del virus. Nono­stante questo, risulta evidente come tutto ciò, benché fondamentale, non basti e non si possa prescindere dallo step successivo nella battaglia al Covid-19».

Si riferisce alla campagna vaccinale da poco intrapresa?
«Esatto. Per molti mesi ci si è battuti con i mezzi in nostro possesso nella speranza di avere quanto prima a disposizione i vaccini. È normale che adesso che si è finalmente arrivati al momento di poterli utilizzare emergano dubbi e perplessità da parte di alcuni, in particolare per il poco tempo avuto a disposizione per l’effettuazione degli studi ne­cessari. Il numero di persone che ha partecipato agli studi è stato però dieci volte superiore agli standard degli studi analoghi per lo sviluppo dei vaccini e non è stata saltata nessuna delle regolari fasi di verifica dell’efficacia e della sicurezza del vaccino. Ci sono molte altre domande e incertezze in questa fase, ma sono facilmente reperibili in rete le risposte alla maggior parte di esse, rimanendo consapevoli che per alcuni dati serve tempo, come l’effettiva durata della copertura immunitaria. Ripeto però, con il rischio di risultare ripetitivo, che giunti a questo punto non possiamo tirarci indietro e affinché si ottengano i risultati sperati dobbiamo fare in modo che il tasso di mancata adesione al vaccino sia il più basso possibile, salvo controindicazioni mediche. Dico questo perché purtroppo l’evidenza è che in alcuni contesti sanitari dove la campagna vaccinale è iniziata, la percentuale di operatori che non si sono sottoposti al vaccino è risultata discretamente alta, rischiando di inficiare il successo dell’operazione. Risulta pertanto imprescindibile la riflessione sulla responsabilità personale e professionale nello svolgere una professione di aiuto e di cura in un contesto in cui potenzialmente tu stesso puoi esser fonte di pericolo per l’assistito».

Può dirci in sintesi qual è lo stato dell’arte in tema di programma vaccinale?

«In data 6 gennaio 2021 la European Medicine Agency (Ema) ha autorizzato il vaccino contro Sars-CoV2/Covid-19, denominato Covid-19 Vaccine Moderna, dell’azienda Moderna, che dopo l’approvazione del vaccino Co­mirnaty, prodotto da Pfizer-BioNTech, è il secondo ad aver ricevuto la raccomandazione per l’autorizzazione all’immissione in commercio. Entrambi i vaccini prevedono due somministrazioni e i soggetti potrebbero non essere completamente protetti fino a 7-14 giorni dopo la somministrazione della seconda dose. Entrambi contengono m(Rna) che codifica per la proteina virale spike (S), che stimola il sistema immunitario a produrre anticorpi specifici, senza introdurre nelle cellule di chi si vaccina il virus vero e proprio, ma solo l’informazione per riconoscerlo e combatterlo. La campagna vaccinale partita il 27 dicembre 2020, come da programma, è iniziata a favore dei sanitari del servizio pubblico e degli operatori e degli ospiti delle Rsa. A seguire verranno inclusi gli anziani (sopra gli 80 anni) e i soggetti “fragili”. La vaccinazione è a carico del sistema sanitario nazionale e risulta evidente come la necessità di razionare le dosi e le indubbie difficoltà organizzative, rischino di rendere i tempi per arrivare alla diffusione del vaccino alla popolazione generale molto lunghi».

Lei cosa ne pensa dell’opportunità di coinvolgere le strutture private nella somministrazione del vaccino?
«In questa fase potrebbe essere prematuro, ma credo che a breve possa diventare determinante po­ter contare su tutte le risorse di­sponibili per la somministrazione del vaccino. Noi nel nostro piccolo siamo a disposizione e saremo in prima linea non appena sarà possibile dare il nostro contributo co­me Gruppo Bios. Al momento ri­mane fondamentale il ruolo del medico competente nel favorire la diffusione della vaccinazione nei contesti sensibili con il proprio contributo nella trasmissione delle informazioni e l’integrazione nel sistema ad oggi in atto».

Si può rendere obbligatoria la vaccinazione?

«Ad oggi rimane un tema molto delicato, ma di estrema importanza che a mio avviso deve essere affrontato integrando il ruolo del Sistema Sanitario Nazionale e quello del medico competente, se parliamo di contesti lavorativi. La possibilità di rendere obbligatoria la vaccinazione in ambito aziendale è confermata da numerose fonti giuridiche affidabili e per rispettare i contenuti dell’articolo 32 della costituzione sarà necessario im­postare un percorso in cui la figura del medico competente è indispensabile. Non può essere questa, per motivi di tempo, la sede per approfondire nel dettaglio il discorso, ma il percorso suggerito prevede una serie di punti cardine che vanno dall’integrazione della valutazione del rischio biologico, alla modifica del protocollo sanitario, all’informativa per i dipendenti e alla definizione della disposizione “ex art. 20” per l’effettuazione della vaccinazione anti-Sars-CoV2/Covid-19. L’e­ven­tuale ri­fiu­to di sottoporsi alla vaccinazione comporterebbe l’emissione da parte del medico competente di un giudizio di inidoneità temporanea alla mansione svolta».

In ultimo, dottor Aragno, può illustrare ai nostri lettori il progetto interessante e innovativo nel quale siete stati coinvolti (e di cui parliamo nell’articolo a pagina XX, ndr)?

«Esatto, siamo stati scelti per partecipare a un interessantissimo progetto che parte da Helsinki per arrivare all’Aeroporto di Le­valdigi, che prevede l’addestramento di cani per l’identificazione di soggetti positivi a Covid-19. Lo studio svolto ad Helsinki ha dimostrato una possibilità di identificazione del positivo fino a 5 giorni prima della manifestazione dei sintomi con una percentuale di successo del 95%. Tale metodo viene utilizzato nell’ ae­roporto di Helsinki da settembre 2020. Un progetto pilota in Italia vede coinvolto l’Ae­roporto di Levaldigi che utilizzerà i cani per lo “screening” dei passeggeri in uscita dall’aeroporto tramite “garze” che verranno messe a contatto con la pelle delle persone prima di essere sottoposte ai cani. Il nostro ruolo è quello di procurare le “garze” con materiale biologico, provenienti da soggetti positivi, confermati da tampone molecolare, previo consenso informato, se­condo protocollo fornitoci dall’equipe scientifica finlandese, con la quale saremo continuamente in contatto. Le “garze” verranno utilizzate per l’addestramento dei cani. È un progetto sostenuto dall’asses­sore regionale alla sanità Luigi Icardi e si spera possa essere esteso a breve, coinvolgendo pronto soccorso e contesti in cui possa essere inevitabile la creazione di aggregazione».