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«La montagna? È metà della mia vita»

Clemente Berardo di Manta a 84 anni si divide tra il lavoro nei campi e l’amore per le vette

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«C’è sempre qualcosa da imparare e c’è sempre qualcuno che te lo può spiegare. Quel che so io, di certo non intendo portarlo con me nella tomba, ma cercherò, come sto facendo ormai da anni e come farò fino a che la vita me lo permetterà, di trasmettere il mio sapere alle nuove generazioni, affinché a loro volta lo facciano vivere tempo».

Con queste parole, Clemente Berardo, guida alpina di Manta, 84 anni, ci introduce nel suo mondo, fatto di condivisione della passione per le alte vette e per i tortuosi sentieri che vi conducono.
Clemente, partiamo dagli albori, quando è nata la sua passione per la montagna?

«In realtà, prima che la passione per la montagna intesa co­me camminate e scalate, è nata la passione per lo sci, che ovviamente è imprescindibile dai luoghi dove lo si pratica. Un Generale alpino mi fece conoscere quei lunghi attrezzi per scivolare sulla neve, e da lì in poi non potei più fare a meno di addentrarmi tra le alture e le cime di tutto quello splendore che ci offriva la natura, sia d’inverno che d’estate».

Cosa rappresenta per lei la montagna?
«Rappresenta metà della mia vita; l’altra l’ho dedicata al­l’a­gricoltura. Fin da bambino mi addentravo nelle gole dei mon­ti, alla ricerca di animaletti nascosti: la voglia di scoprire è ciò che mi ha poi avvicinato all’alta montagna».

Cosa l’ha spinta a voler intraprendere il percorso che l’ha re­sa una guida alpina?

«Quando ho deciso di frequentare la scuola da guida alpina, prima mi sono documentato il più possibile sulla storia delle montagne e dell’alpinismo, av­vicinandomi a un mondo che da sempre mi aveva attratto, ma la spinta interiore che mi ha fatto scattare la molla è stata la volontà di accompagnare, indirizzare, assistere e accogliere il prossimo. Più di tutto, a parer mio, la guida deve trasmettere esperienza e coraggio ma quello calcolato, non l’essere sprovveduto. Proprio questa è la mia volontà: trasmettere agli altri il mio piccolo e umile sapere. Adoro farlo con i bambini, perché io e mia moglie Maria Te­resa ne abbiamo purtroppo persi tre tutti a pochi giorni dalla nascita a causa di una rara patologia, e quindi rivivo con loro in piccolo quello che avrei potuto fare con i miei, e cerco di accompagnarli in una scoperta della montagna a tutto tondo».

Cosa vorrebbe trasmettere alle nuove generazioni?
«Vorrei trasmettere a tutti ciò che sento quando mi ritrovo immerso nella natura. È una sensazione di grande e continua libertà di azione».

Una libertà d’azione che non significa fare ciò che si vuole…

«Infatti. Prima di tutto va ribadita l’importanza del rispetto. La montagna ci offre tante bellezze e alimenta uno spirito di avventura invidiabile, ma la cosa da tenere sempre a mente è il fatto che siamo ospiti sulle cime: non è la montagna che deve adattarsi a noi, bensì il contrario. Non va sfidata o mu­tata, dobbiamo avere la volontà di lasciarla ai posteri così come l’abbiamo trovata noi. Se io ho avuto il privilegio di apprezzarla in tut­ta la sua bellezza è solo perché qualcuno di prima di me ha avuto la bontà di preservarla co­sì come essa era: pulita e incontaminata».

È solito seguire dei percorsi predefiniti?

«A me non piace seguire percorsi obbligati, preferisco inventarmeli sempre di nuovi. Nella mia vita ho sempre cercato di navigare a vista, provando a superare quello che trovavo sulla strada, non mi piace sapere prima quello che mi troverò davanti agli occhi. La soddisfazione è quella che credo provasse Cristoforo Colombo, an­dando in giro per i mari del mondo senza la bussola. Non che io non mi sia mai perso… Anzi! Però è bello così».

Qual è stata la sua impresa che ricorda con maggior orgoglio?

«Contro tutto e tutti, la mia impresa più bella è stata sposare mia moglie sulle vette del Monviso. Amavo lei ed amavo la montagna, nessun connubio poteva essere più azzeccato per celebrare un così bel giorno, nessun’altra sarebbe potuta essere altrettanto memorabile fino a quel punto».

Che vita conduce ad oggi?

«Alla soglia degli 85 anni, lavoro nella mia azienda agricola che curo con tutta la passione di cui sono capace. Parto al mattino, rincaso per pranzo e dopo un boccone, si ritorna nei campi fino a sera. L’età non mi spaventa e se la salute mi accompagna, nulla mi ferma. Ma c’è un però: io coltivo solo terreni in collina; quelli in pianura non mi sono mai piaciuti, amo potermi arrampicare persino lavorando la terra».

BaNNER
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