«Perchè in Italia non diamo fiducia ai giovani manager?»

Gaia Tortora propone: «In Calabria spazio a nuove idee» La conduttrice di “Omnibus” in onda su La7: «Il Covid sta determinando un preoccupante calo di fiducia da parte delle persone nei confrontidelle istituzioni»

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Sulla scia di papà Enzo, anche Gaia Tortora è diventata un volto televisivo grazie soprattutto alla conduzione del programma mattutino di informazione “Omnibus” in onda su La7. Giornalista senza filtri, non ha mai nascosto il peso emozionale che inevitabilmente ha dovuto sostenere come figlia di un personaggio passato, suo malgrado, alla storia. Quella dello scandalo giudiziario che travolse Enzo Tortora resta una delle pagine più controverse e drammatiche del nostro Paese, con la sua coda di ulteriori ferite e di ricadute proprio sugli affetti più cari legati al popolare conduttore di “Portobello”. Gaia ne ha parlato recentemente, facendoci capire quanto sia stato difficile per lei sovrapporsi in video all’immagine del padre, entrata nell’immaginario collettivo della nostra tv. Ma intanto si va avanti, ora c’è il virus che tiene banco.

Gaia Tortora, dal suo osservatorio televisivo ritiene che il Covid abbia già cominciato a cambiare le persone?
«Come potrebbe non farlo? È la più grande emergenza che abbia mai interessato la nostra generazione. E ha stravolto le abitudini di tutti. Perché rinunciare ai rapporti con gli altri non è nella natura umana. Pensiamo ai ni­po­ti che non possono vedere i non­ni: è difficile. Però diciamo che, nelle difficoltà, c’è l’occasione per riscoprire, oppure scoprire, il senso autentico delle cose. Solitamente siamo immersi nel­la frenesia, ora invece, almeno per quanto mi riguarda, c’è da imparare qualcosa».

In trasmissione ospita diversi politici: loro stanno cambiando oppure no? Risposta facile…
«Bisogna premettere che gestire una situazione come questa sa­rebbe stato difficile per chiunque. E sappiamo bene quale sia il male endemico che affligge qualsiasi programma politico in Italia, ovvero la macchina burocratica. Lo abbiamo visto chiaramente per questa seconda ondata del virus: se i bandi per ampliare i reparti di terapia intensiva, vengono aperti per mille complicazioni formali solo a ottobre, è normale arrivare a un’ulteriore emergenza. Questo è decisamente il tarlo italiano, che scardina qualunque programmazione».

Il ruolo dei giornalisti, in tale contesto, crede che sia stato all’altezza delle aspettative?
«Ma i ruoli im­por­tan­ti in una pandemia sono altri, ad esem­pio quel­­li dei me­dici im­pegnati in pri­ma linea che si sacrificano per il bene co­mune della no­stra so­cie­tà».
Mi riferivo al dibattito attorno al ruolo del­l’informazione e alle notizie, spes­so contrastanti, sul tema del Covid. Perché tanta confusione?
«Perché i pareri discordanti li abbiamo ascoltati soprattutto da tanti esperti virologi, ai quali del resto abbiamo giustamente chiesto informazioni sulla ma­lattia. Non ha aiutato la diversità delle specializzazioni, mentre tutti si sono presentati come virologi. Poi c’è stata confusione sulle indicazioni: all’inizio per qualcuno la mascherina non serviva, poi sì. Prima andava bene anche in stoffa, poi solo chirurgica. Insomma, il problema non è del giornalismo».

Il rapporto tra la gente e le istituzioni, invece, è a rischio?

«Su questo aspetto c’è da riflettere. Il calo di fiducia è evidente, generalizzato. Il rimpallo di re­sponsabilità a cui abbiamo assistito ultimamente tra Stato e Re­gioni non aiuta. E anche qui, c’è chi prima ha detto che si dov­eva chiudere, per poi affermare che si deve riaprire. La gente è stanca».

A proposito, le sembra normale quello che sta accadendo in Calabria?
«È assurdo, una regione abbandonata da anni che continua a subire decisioni incomprensibili, come le scelte sbagliate dei commissari e le perdite di tempo assortite. Ma perché in Italia non si può mai prendere una decisione coraggiosa? Per­ché non affidare quell’incarico a un giovane, a qualcuno che sia qualificato ma anche motivato, qualcuno in grado di mettersi anche alla prova? Forse è meglio un professionista giovane al posto dei soliti “professoroni”. Ma è un altro male tipicamente italiano».

Che cosa avrebbe detto suo padre Enzo in merito a tutte queste storture?
«Avrebbe detto quello che penso io, ovvero che si tratta di commedia assurda. Possibile che in Italia ci sia solo Arcuri per risolvere ogni emergenza, dall’approvvigionamento delle ma­scherine al piano per l’Ilva fino al vaccino? In giro ci sono tanti giovani manager capaci, coinvolgiamoli».

A proposito, pensa che il vaccino sia la soluzione definitiva al­la pandemia da coronavirus?
«Promette di esserlo, anche perché ne sta arrivando più di uno. Speriamo che sia disponibile al più presto, l’anno ormai sta volgendo al termine».

Un anno complicato: ma ci la­scerà una lezione da seguire?
«Spero di sì, ma so che l’essere umano dimentica tutto molto ve­locemente. Di sicuro la pan­demia sta cambiando e cambierà il lavoro. Lo sta facendo spingendo tantissime persone a lavorare da casa. Per qualcuno si tratta di una soluzione positiva, per qualcun altro molto meno. I conflitti aumenteranno, diversità e diseguaglianze saranno accentuate».

Significa che sarà modificato in qualche modo il sistema economico e sociale al quale siamo abituati?
«È possibile, vedo in giro tante persone in sofferenza, tanti lavoratori in difficoltà che ancora non riescono a risollevarsi. Que­sto fa pensare che ci sarà bisogno di percorrere strade nuove per permettere a tutti di recuperare una vita dignitosa. Basterà il reddito di cittadinanza? Non saprei. Ma certamente siamo davanti a una prospettiva che spaventa: il Covid sta lasciando macerie».