Il giocatore di baseball Lou Gehrig, il fisico Ste­phen Hawking, i calciatori Stefano Borgonovo, Adriano Lombardi e Gianluca Signorini, l’economista Luca Coscioni. Sono solo alcuni dei nomi celebri che con le loro esperienze di vita hanno reso nota al mondo la piaga della Sclerosi laterale amiotrofica, meglio come conosciuta come Sla.

Una malattia strana, a tratti invisibile, ma sempre presente una volta annidatasi nel corpo di una persona, di cui ancora oggi non sono conosciute in modo chiaro le cause e, di conseguenza, i rimedi.

Da anni, ormai, la lotta contro la Sla in provincia di Cuneo è portata avanti dal sorriso e dalla caparbietà di Silvia Co­dispoti, una ragazza di Vil­lafalletto che ha mai smesso di crederci, nonostante la battaglia contro questo nemico duri da tempo. Chi sia Silvia ce lo dice lei stessa, in una lunga chiacchierata con IDEA che è anche il racconto di una “convivenza” con il “mostro”, come lo definisce lei.

Partiamo dalle presentazioni: chi è Silvia Codispoti?
«Silvia è una ragazza che abita a Villafalletto e che ora, come molte altre persone della sua età, sta lavorando da casa, in “smart working”, come è diventato comune dire. Da diciassette anni convive con la Sla, ma ha mai smesso di combatterla».

La Sla, appunto. Come ha scoperto di esserne affetta?
«Avevo 25 anni e iniziai ad manifestare i primi sintomi di quella che poi si rivelò essere la Sclerosi laterale amiotrofica. Era il 2003, a dicembre feci l’esame per il tunnel carpale che risultò negativo, a febbraio 2004 iniziai a zoppicare e ad avere crampi a gambe e piedi, insieme a fascicolazioni. A se­guito di una prima visita neurologica e successivo ricovero per gli accertamenti, mi fu diagnosticata una malattia del motoneurone. Fu una tragedia, quel giorno: ero da sola in ospedale con il neurologo che mi spiegava di cosa si trattasse».

La tua reazione?
«L’unica cosa che capii è che sarei peggiorata, che non c’era cura e che ero troppo giovane per quel tipo di malattia. Io, in ogni caso, mi sentivo bene, a parte lo zoppicare: quasi non credevo di essere malata e per un po’ non ci pensai, come se la malattia non fosse parte di me. Girai diversi ospedali, da Ge­nova a Milano, fino ad arrivare a Torino, dove mi diagnosticarono una Sla famigliare (due suoi zii avevano avuto la stessa malattia, ndr). Sembrava addirittura una buona notizia, nel caso in cui in futuro fosse stata sviluppata una terapia genica».

Da lì, però, è iniziata la sua voglia di lottare per non darla vinta al “mostro”…
«Dopo alcuni anni ho capito che era tempo di mettersi in gio­co. È nata così l’idea di riattivare la sede provinciale di Aisla, la Onlus nazionale che supporta i malati e le loro famiglie. Era il 2010 e da quel momento molti passi sono stati fatti, grazie al prezioso contributo di volontari cuneesi e albesi».

Oggi come definirebbe la Sla?
«Per me la Sla è un mostro con il quale ho dovuto imparare a convivere affrontando gli ostacoli che ha messo davanti al mio percorso».

Per molti, complice anche la ribalta ottenuta da celebri casi come queli di Stefano Bor­gonovo e Gianluca Signorini, la Sclerosi laterale amiotrofica è “la malattia dei calciatori”. È corretto?
«È una definizione in voga che è però solo in parte esaustiva. Anche se Borgonovo e Si­gno­rini hanno portato alla ribalta una malattia rara con la loro immagine, va ricordato che in Italia sono almeno 6.000 le persone che hanno questa patologia e che sperano nell’individuazione di un farmaco o un trattamento che almeno blocchino l’evoluzione della malattia».

Spesso in questi mesi, forse anche a sproposito, abbiamo definito il coronavirus come un male invisibile. Come si convive con un vero male invisibile come nel caso della Sla?
«Di solito la malattia ha un andamento veloce; nel mio caso invece è lentissimo: sono ammalata da 17 anni e non mi ha ancora tolto tutto. Finché non ha invaso troppo il mio corpo, ho fatto finta che non esistesse, soprattutto all’inizio della malattia. Piano piano è diventata sempre più invadente: ho bisogno di aiuto per tutto e per trovare soluzione alle difficoltà che si presentano, a volte dall’oggi al domani.

Tutto questo insieme e grazie al supporto della mia famiglia e di chi mi assiste: l’affetto dei miei cari e degli amici è l’essenza che mi dà la forza per andare avanti. È fondamentale essere seguiti da più specialità mediche e questo, nel mio caso, significa do­ver correre tra Torino, Saluzzo, Savigliano e Cuneo perché purtroppo non c’è un team multidisciplinare in un unico punto della provincia».

Proprio l’ex capitano del Genoa Gianluca Signorini disse: “Vorrei che la mia vita riprendesse da dove si è fermata”. È davvero una vita che si ferma quella che incontra la Sla? Come la si mantiene “in movimento”?
«Io sono sempre speranzosa, ma senza pensarci troppo: vivo cercando di non farmi illusioni e cercando di raccogliere quello che la vita mi offre. Mi considero molto fortunata perché ho accanto delle persone che mi aiutano sia fisicamente che emotivamente ad andare avanti, che riescono a darmi la forza che mi manca. Ad oggi posso ancora lavorare, utilizzare il computer e il telefono. Non mi sono fermata, quello che posso lo faccio da sola e ho imparato a chiedere aiuto: così posso fare molto di più».

Che cosa si aspetta dal futuro?
«La speranza, l’amore per la vita e il poter essere d’aiuto agli altri mi hanno permesso di andare avanti e di non fermarmi, a dispetto della malattia e nonostante le difficoltà. Avere la mente occupata è di grande aiuto e poter essere un punto di riferimento, insieme ai volontari dell’associazione Aisla Cu­neo, mi fanno semplicemente sentire bene. Spero che il futuro mi riservi tante opportunità a cui dire sì. Spero di vivere con serenità e con un bel sorriso da regalare agli altri!».