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Una macchina per catturare la plastica

Ideata dagli operatori del Parco del Monviso evita che i rifiuti abbandonati finiscano nel Po

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Il problema dell’inquinamento ambientale, oggi più che mai, è al centro del dibattito internazionale in quanto, finalmente, c’è consapevolezza circa le gravi conseguenze che esso può determinare nel medio-lungo periodo. Nell’occhio del ciclone c’è sempre la plastica: come riporta il Wwf, la produzione mondiale è passata dai 15 milioni di tonnellate del 1964 agli oltre 310 milioni attuali. Ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani del mondo, dove, secondo le stime, ci sarebbero già più di 150 milioni di tonnellate di plastica.

La più grande organizzazione mondiale per la conservazione della natura sostiene che se non si dovesse agire per invertire la tendenza, proseguendo quindi con i trend attuali, nel 2025 gli oceani potrebbero presentare una proporzione di una tonnellata di plastica per ogni tre tonnellate di pesce, mentre nel 2050 avremo negli oceani del mondo, in termini di peso, più plastica che pesci. Nel 2018, nella sola provincia di Cuneo, sono state prodotte oltre 18 mila tonnellate di rifiuti di plastica.

Partendo da questo dato, Fabio Santo, guardiaparco presso il Parco del Monviso, e la sua squadra hanno avviato un progetto sperimentale di valorizzazione ambientale che, tra le altre cose, mira a limitare l’inquinamento da plastica nel fiume Po.

Fabio Santo, da quando lavora al Parco del Monviso. Come nasce la sua passione per tale attività?
«Sono entrato a fare parte dello staff del Parco del Monviso nel 2008. In realtà, sono un ingegnere idraulico ma ho preferito lasciare la mia professione e assecondare le mie attitudini principali. Sono infatti sempre stato incuriosito e sensibile all’ambiente, alla sua tutela e alla gestione dei suoi enormi problemi. Così ho scelto questo percorso professionale che mi ha fatto toccare con mano la grave situazione ambientale che stiamo vivendo».

Com’è nata l’idea della macchina “cattura plastica”?
«Durante i servizi che svolgiamo lungo le sponde del Po, scorgiamo abitualmente le enormi “costellazioni” formate dai rifiuti abbandonati. Una situazione che peggiora dopo le piene, durante le quali i rifiuti finiscono ovunque. Si tratta di rifiuti che derivano da abbandoni, volontari o involontari, e che generalmente sono legati ai consumi della vita quotidiana. Risulta evidente come il genere umano stia impattando fortemente su ecosistemi e ambiente, anche perché tali rifiuti, deteriorandosi e rimpicciolendosi, diventano assimilabili da animali e vegetali e, dunque, tossici anche per l’uomo. Di fronte a tutto ciò, abbiamo pensato di risolvere a monte il problema ideando un macchinario che catturasse la plastica».

In quali aree è stata sperimentata l’apparecchiatura?
«In seguito a varie segnalazioni, abbiamo ritenuto opportuno testarla in una diramazione di un canale irriguo di Revello, in direzione “Cava Laurentia” di località San Firmino, dove galleggiano rifiuti domestici, destinati a sfociare nel fiume Po e a sopravvivere per centinaia di anni».

Quanto è costato realizzare il “cattura plastica”?
«Poche decine di euro. Al momento, il macchinario funziona soltanto “a mano”, ma ciò non esclude che in futuro possa essere meccanizzato e automatizzato, anche se ciò ovviamente determinerebbe un aggravio dei costi». Non avete pensato alla creazione di un brevetto? «No: operiamo per un ente pubblico e i nostri obiettivi sono la cura e la tutela del bene collettivo. Il brevetto è legato a qualcosa di commerciale o industriale, mentre, come dicevo, noi pensiamo unicamente alla tutela degli ecosistemi e a garantire benefici alla collettività».

In Italia esistono altre strumentazioni in grado di catturare i rifiuti di plastica?
«Sì. Esistono altre apparecchiature, ma sono differenti dalla nostra. Ciascuna, infatti, presenta caratteristiche proprie, rispondenti alle necessità dell’ambiente per cui è pensata».

Cosa ha provato vedendo la “sua” macchina al lavoro?
«Una soddisfazione incredibile. Si resta senza parole osservando la plastica finire nei bidoni di raccolta dell’apparecchiatura e non nelle acque del fiume. Quando, con il lavoro, si assecondano le proprie passioni e al contempo si riescono a fornire soluzioni concrete ai problemi di tutti, la fatica non si sente e tutto risulta appagante».

BaNNER
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