Verso (l’altra) Rio 2016: Diego Colombari ci parla di Paralimpiadi, disabilità e movimento cuneese

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Abbiamo inaugurato qualche giorno fa la rubrica “Verso Rio 2016”, che ci ha accompagnato nel percorso di avvicinamento ai Giochi Olimpici che stanno per iniziare in terra brasiliana e che ci seguirà anche durante la manifestazione.

 

I cinque cerchi, però, come da qualche edizione a questa parte, non significano però solo Olimpiadi. Accanto al movimento sportivo normodotato, infatti, si muove in sempre continua crescita anche quello dei disabili, che ha nelle Paralimpiadi un appuntamento fondamentale, anche per la propria diffusione. Ideawebtv.it ha deciso di scambiare quattro chiacchiere con Diego Colombari, campione italiano di handbike e prossimo (a meno di cataclismi) alla vittoria del Giro d’Italia 2016, tesserato per la P.a.s.s.o. Cuneo, per parlare di Paralimpiadi, disabilità e provincia di Cuneo.

 

Ciao Diego, partiamo da te e dai tuoi risultati in questa stagione. Soddisfatto?
“Sono molto contento di come sta andando la stagione. Al momento il mio primo obiettivo resta la vittoria del Giro d’Italia, che mi vede al comando con un’unica tappa ancora da disputare. Per il titolo italiano, invece, non ho problemi: manterrò la maglia tricolore non essendo in programma una riedizione per quest’anno. Per i prossimi obiettivi si vedrà…”

 

Immaginiamo che tra questi ci sia anche la partecipazione alle Paralimpiadi…
“Guardando al futuro, sì, se avrò la fortuna di continuare a fare questo sport, mi piacerebbe parteciparvi. Già lo scorso anno ho provato, legandomi ad un preparatore atletico, ma non ce l’ho fatta, anche se sapevo benissimo che era impossibile. Non nego che, in caso di chiamata, ci sarei andato, ma, conoscendomi, so che se fossi andato sarei rimasto deluso se non avessi ottenuto un ottimo risultato. Voglio andarci puntando al massimo”.

 

Che cos’hanno di speciale le Paralimpiadi? Sono paragonabili alle Olimpiadi per normodotati?
“Sicuramente, il loro fascino sta nell’essere le Olimpiadi per disabili. Detto questo, però, si presentano sotto un’altra veste. Spesso, infatti, le Paralimpiadi sono importanti soprattutto perché rappresentano un’occasione per migliorare e per far crescere il movimento. Un tempo, parlo dell’handbike, si trattava di uno sport quasi amatoriale. Oggi, invece, si parla di fatto professionisti, con un preparatore atletico e con delle case alle spalle, che, nell’anno dei Giochi, effettuano nuovi sviluppi sul mezzo dell’atleta di punta, favorendo quindi, con le loro innovazioni, la crescita dell’intero sistema”.

 

Insomma, un movimento in continua evoluzione. I miglioramenti sono percettibili?
“Assolutamente sì e coincidono con un aumento della concorrenza. Quando ho iniziato io, si correva a circa 30 km/h, con uno spirito prettamente amatoriale. Oggi si viaggia ai 37 km/h di media e gli atleti di punta raggiungono anche i 40. Un miglioramento vertiginoso”.

 

Come arriverà l’Italia ai prossimi Giochi Paralimpici?
“Siamo molto avanti e con pieno diritto tra le nazionali più forti del mondo, con tante possibilità di andare a medaglia. Penso a Podestà, Mazzone, alla squadra di paraciclismo e al più famoso del movimento, Alex Zanardi. Come detto prima, questo miglioramento si riflette sul movimento stesso, sempre più agguerrito e, ahimè, competitivo. Lo dico con un velo di rammarico perché questa corsa al risultato contamina un po’ tutti, me compreso: il nostro sport andrebbe vissuto con un altro spirito, meno legato ai tempi ottenuti e maggiormente spinto da passione, divertimento e voglia di mettersi in gioco”.

 

Capitolo Cuneo. A che punto è il nostro movimento se paragonato a quelli presenti nello Stivale?
“Se devo essere sincero, Cuneo, come tutto il Piemonte, non è molto all’avanguardia. In regione, l’unica atleta di punta è la Fenocchio, mentre in provincia Granda le uniche associazioni presenti sono Sportabili di Alba e P.a.s.s.o. Cuneo: la P.a.s.s.o. ad esempio, si è sempre data da fare per incentivare lo sport tra i disabili, anche se all’interno di essa pochi lo fanno realmente con uno spirito competitivo e per ottenere dei risultati. Il perché credo risieda nella mancanza di una tradizione ciclistica all’altezza in terra sabauda: la Lombardia ed il Veneto, tanto per citare altre due regioni, vivono il ciclismo per normodotati con molta più passione e questo spinge anche il mondo dei disabili ad investire in esso. Qui non è così”.

 

Un quadro, quindi, in evoluzione ma con qualche falla ancora da sistemare. Possiamo dire che le Paralimpiadi potrebbero dare una mano in questo senso?
“Credo di sì, anche perché a livello di risultati sono molto ottimista, a differenza della nazionale dei normodotati, in cui, accanto a sport in cui siamo all’avanguardia, ne esistono altri in cui non siamo all’altezza, semplicemente perché in Italia non va di moda praticarli”.

 

Carlo Cerutti

 

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