Se questo è un uomo – In memoria

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Ricordare è un dovere; un giorno dopo, come 70 anni dopo. Primo Levi fu deportato ad Auschwitz nel 1944. Questo è quello che scriveva il 26 gennaio del 1945. Memorie come pietre, raccolte nel suo libro testimonianza “Se questo è un uomo”.

 

Noi giacevamo in un mondo di morti e di larve. L’ultima traccia di civilità era sparita intorno a noi e dentro di noi.

L’opera di bestializzazione, intrapresa dai tedeschi trionfanti, era stata portata a compimento dai tedeschi disfatti.

È uomo chi uccide, è uomo chi fa o subisce ingiustizia; non è uomo chi, perso ogni ritegno, divide il letto con un cadavere. Chi ha atteso che il suo vicino finisse di morire per togliergli un quarto di pane, è, pur senza colpa, più lontano dal modello dell’uomo pensante, che il più rozzo pigmeo e il sadico più atroce.

Parte del nostro esistere ha sede nelle anime di chi ci accosta: ecco perché è non-umana l’esperienza di chi ha vissuto giorni in cui l’uomo è stato una cosa agli occhi dell’uomo.

Noi tre ne fummo in gran parte immuni, e ce ne dobbiamo mutua gratitudine; perciò la mia amicizia con Charles resisterà al tempo.

Ma a migliaia di metri sopra di noi, negli squarci fra le nuvole grige, si svolgevano i complicati miracoli dei duelli aerei. Sopra noi, nudi impotenti inermi, uomini del nostro tempo cercavano la reciproca morte coi più raffinati strumenti. Un loro gesto del dito poteva provocare la distruzione del campo intero, annientare migliaia di uomini; mentre la somma di tutte le nostre energie e volontà non sarebbe bastata a prolungare di un minuto la vita di uno solo di noi.