Acute riflessioni intorno al mondo della formazione

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Ha debuttato online su Instagram il ciclo “Motivazione”, promosso dalla Fondazione Crc: un percorso di incontri settimanali che intende proporre riflessioni relative al mondo della formazione e alle sfide cui deve far fronte. I primi due appuntamenti, moderati da Andrea Silvestri, direttore generale della Fondazione, hanno visto protagonisti l’antropologo Marco Aime e il semiologo Stefano Bartezzaghi. Il prossimo incontro in programma, previsto
per domani, venerdì 10 aprile alle 17,30 su profilo Instagram della Fondazione è con “Taxi 1729”, società di comunicazione e divulgazione scientifica di Torino. Seguirà, venerdì 17 aprile, sempre alle 17,30 l’intervento video di Gian Antonio Stella e il 24 aprile quello dell’ex pallavolista Andrea Zorzi.

Sollecitato nel primo incontro sulla sfida che il multiculturalismo rappresenta oggi per il mondo della scuola, Marco Aime ha sottolineato che «ogni cultura è di fatto multiculturale, in quanto prodotto di millenni di scambi. Così come dal punto di vista genetico la mescolanza prodotta nei millenni non permette di suddividere gli uomini in razze distinte, qualcosa di simile accade a livello culturale: le varie culture non sono nomadi che non comunicano tra loro, ma “recinti” con aperture e spazi di comunicazione. Rimoduliamo costantemente la cultura perché essa è dentro di noi, risiede nella relazione che stabiliamo con gli altri».
Questo scambio, che presuppone una differenza da non negare, permette di guardare ad altre culture per trarre indicazioni utili.
Per esempio può essere particolarmente interessante in un momento difficile come questo, sottolinea il professor Aime, «guardare al rapporto con il tempo che hanno le popolazioni
del l’Africa occidentale: citando do la massima di un amico congolese secondo il quale “Dio ha
dato l’orologio agli svizzeri e il tempo agli africani”, lo studioso ha messo in luce una concezione
del tempo non come nemico da combattere o risorsa da sfruttare spasmodicamente, ma
come buon amico, qualcosa da consu mare sì, ma “cum grano salis”».
Durante il secondo incontro, con il semiologo Stefano Bartezzaghi si è invece riflettuto sull’uso
delle parole, sui nuovi mezzi di comunicazione e di socialità e sul loro possibile impatto sul mondo della scuola.
Se da un lato quest’ultimo è innegabile e non sempre positivo, l’assenza forzata della lezione
in classe che si sta sperimentando in queste settimane sta mettendo in luce la preziosa  specificità della scuola rispetto a qualsiasi altra fonte di formazione e informazione. La socialità
che si sperimenta a scuola tra compagni è uno dei fattori fondamentali, che riguarda il  contenuto della formazione stessa, non solo le sue modalità e il rapporto diretto tra insegnanti e studenti non incide tanto sulle nozioni (che possono essere trasmesse anche indirettamente)
ma sulla credibilità, sulla capacità di una nozione di penetrare citannei ragazzi e di fare sistema con le nozioni preesistenti.
Continuando a riflettere sull’insolita condizione cui gli studenti sono sottoposti a causa  dell’emergenza, Bartezzaghi ha ricordato quanto anche la mancanza abbia i suoi vantaggi. Il
semiologo è certo che la mancanza di scuola di questo periodo potrà insegnarci molto, e che
le modalità di insegnamento adottate in queste settimane ci stanno già mostrando, per contrasto, quel che stiamo perdendo: «Quello che abbiamo perduto tornerà, ma quel che vorrei
avessimo perso per sempre è l’idea che scuola sia qualcosa di scontato». Ciò non significa esaltare la scuola tradizionale e stigmatizzare le nuove tecnologie e la loro applicazione didattica; spesso le novità tecnologiche spaventano perché d’istinto ci viene da pensarle come sostitutive mentre, in questo caso più che mai, sono strumenti aggiuntivi, di cui ogni insegnante e ogni studente deve comprendere le specificità. In questo i ragazzi
sono spesso più bravi dei loro docenti, e anche questa può trasformarsi in un’incredibile occasione di scambio e di apprendimento per tutti.