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Diplomazia per tutti

Il premier indiano Narendra modi, a caccia del terzo mandato, tacciato in patria dagli oppositori di limitare la democrazia, diventa speranza del mondo per il dialogo e la pace tra Russia e Ucraina

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In giorni di tensione altissima, rischi di sconfinamento e inasprimento del conflitto, la convinzione dell’India d’essere il solo Stato a poter avvicinare Russia e Ucraina diventa speranza d’un mondo che inizia ad agitarsi, percependo sempre più vicino l’eco delle bombe. Più volte il Paese più popoloso del mondo s’è astenuto dal votare le risoluzioni delle Nazioni Unite che chiedevano al Cremlino di cessare le ostilità e lasciare i territori occupati, così la neutralità è diventata terreno fertile per sperare, adesso, attraverso la diplomazia, di seminare distensione, dialogo e pace, forte anche della tradizione di non allineamento e della presidenza del G20. Soltanto pochi giorni fa Narendra Modi, 73 anni, umili origini e un passato da commerciante di tè, primo ministro dal 2014, ha telefonato prima a Vladimir Putin e poi a Volodymyr Zelensky, riproponendo la mediazione come chiave unica per far cessare la guerra. Con lo Zar s’è anche congratulato per il successo elettorale che, a sua volta, spera di ripetere nelle ormai imminenti elezioni, e che anzi, secondo gli avversari politici, sta costruendo con leggi ad hoc cui tentano con forza d’opporsi. Un esempio è quella, particolarmente controversa, entrata in vigore l’11 marzo, che agevola la regolarizzazione dei migranti non musulmani provenienti dall’Afghanistan, dal Bangladesh e dal Pakistan, contestata perché destinata a determinare una discriminazione nel solco di politiche governative sempre più antimusulmane.
In India, dove le urne saranno aperte ad aprile e maggio, il governo ha d’altronde approvato diverse altre misure tendenti a reprimere il dissenso e complicare la campagna dell’opposizione, comunque adottando riforme e modifiche, anche del codice penale, che in tanti, fuori dall’area vicina al Premier, giudicano scivolose per l’esagerata attribuzione di poteri a istituzioni statali e forze di polizia. A riavvolgere il nastro dei dieci anni, non è una novità: Modi, leader di Bjp, partito nazionalista indù, fin dalla prima investitura ha puntato a rafforzare il nazionalismo e trasformare il Paese da laico a induista, giustificando il fine inseguito con i mezzi, spesso discutibili della riduzione dei diritti delle minoranze attraverso preclusioni di libertà fondamentali, compresa quella di stampa. Oggi che punta al terzo mandato, acuisce soltanto un’azione politica tracciata da tempo, estendendo la presunta attività discriminatoria, oltre che contro la comunità musulmana, anche contro intellettuali d’orientamento e idee diverse, attivisti e oppositori. Talvolta – la denuncia delle opposizioni -, utilizzando apparati dello Stato in modo non trasparente, come nel caso della recente perquisizione, da parte del Central Bureau of Investigation, del Centre for Equity Studies di New Delhi, centro studi che sostiene le persone più svantaggiate: le presunte irregolarità finanziarie rilevate hanno fatto scattare custodie cautelari fino a due mesi. Gli attivisti per i diritti umani non tacciono, inquadrano storture e confidano timori, guardano con sospetto anche modifiche normative che introducono reati di definizione ambigua e interpretazione pericolosa, tipo: «Mettere in pericolo la sovranità, l’unità e l’integrità dell’India». Eppure, mentre entro i confini indiani c’è chi teme un duro colpo alla democrazia, stigmatizzando l’azione di un premierato che pure ha il merito di aver rilanciato l’economia grazie a una politica di sgravi fiscali e di sostegno all’imprenditoria, fuori dal Paese Modi rimane l’accreditato principale a instaurare l’anelata pace tra Russia e Ucraina.

BaNNER
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