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«Voglio sradicare tabù e stereotipi usando l’ironia»

Virginia Risso compie gli anni e festeggia l’8 marzo con il suo spettacolo “Seniloquio” (in scena anche a Savigliano) e l’impegno contro l’ignoranza «che produce mancanza di consapevolezza e degenera nella violenza». Un messaggio che porta anche nelle scuole: ora a Fossano

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Buon compleanno e buon 8 marzo. Vir­ginia Risso, attrice torinese under 30, fondatrice del Teatro al femminile, nasce proprio il giorno della festa della donna. Una coincidenza come tante, d’accordo, ma è bello pensare che abbia agito come un suggerimento. Un input che ti orienta in silenzio e ti indica una strada. Non quella di una rivendicazione di genere da novella barricadiera, ma una rivoluzione serena, che dal cuore delle donne prende le mosse per dare vita a un movimento inclusivo e contaminato col mondo. Sulla pagina facebook dedicata si legge proprio «Non siamo un’élite al femminile, non si combatte una discriminazione facendone un’altra. La nostra squadra è eterogenea, composta da professionisti del settore, ma so­prattutto da persone che portano avanti lo stesso ideale: l’uguaglianza».

Infatti in “Seniloquio”, uno dei due spettacoli attualmente nel­le piazze (al Teatro Milanollo di Savigliano il prossimo 22 mar­zo), è in scena con lei Matteo Bianco Dolino. A parlare di seni.

«Il seno qui è un pretesto per affrontare un concetto più ampio che è quello dell’accettazione di sé e del tempo che passa, per sollecitare a sfruttarlo al meglio. Viviamo in una società malata di cronofobia e il mio è un invito a prendersi cura di sé per amore e non per paura. L’idea di dover bloccare il tem­po, di volerlo quasi annullare, ci fa perdere il focus sul presente e su ciò su cui dovremmo concentrarci davvero».

Così giovane e già così zen?

«Mi sento molto vicina alla visione del mondo giapponese che si chiama wabi – sabi e consiste nell’accettazione della transitorietà e dell’imperfezione. Che non significa passività ma concentrazione su quello che è sotto il nostro controllo. Significa vivere il tempo delle stagioni».

Quindi anche la stagione del seno cascante. Mi perdoni la battuta. Mi viene in mente “Per­fect Days” di Wim Wenders, lo ha visto?

«L’ho amato».

Torniamo al corpo femminile che lei ha raccontato anche at­traverso un’altra parte ancora più “appartata”, la vagina, su­scitando non poche sollevazioni, compresa quella del Co­mune di Asti, poi ricredutosi, permettendole di andare in sce­na al Teatro Alfieri proprio lo scorso 1° marzo. Di cosa trattano esattamente “I dialoghi della vagina” che la vedono insieme a Gaia Contraffatto, anch’essa parte di Teatro al femminile?
«Di tabù e luoghi comuni da sradicare con l’ironia, perché c’è ancora tanta ignoranza e tanta mancanza di informazione. E l’ignoranza porta a una mancata consapevolezza che può degenerare, come spesso si vede».

Il titolo è un chiaro riferimento a “I monologhi della vagina” di Eve Ensler, autrice americana tradotta in tutto il mondo e resa celebre anche in Italia attraverso questo testo spettacolo frutto di una capillare ricerca sul campo.

«Lo spettacolo gioca nominalmente con il titolo ma l’approccio è completamente diverso. Quello di Ensler è stato un testo rivoluzionario che ha affrontato tematiche forti di violenza. Il mio obiettivo è contrastare certi luoghi comuni riguardo all’universo femminile, ma con ironia».

Possiamo dire che l’ironia sia un po’ la sua cifra?
«Certo. È un mezzo potentissimo per trasmettere un messaggio perché predispone il pubblico all’ascolto ed è più facile mettere la classica pulce nell’orecchio che invita a riflettere».

Ed è con la stessa arma che si avvicina ai ragazzi delle scuole? Ci parli dei suoi laboratori con gli studenti delle scuole me­die che sta tenendo a Fossano.
«Si tratta di otto incontri in un progetto più ampio chiamato Daimon promosso dalla cooperativa Caracol che intende portare il teatro nelle scuole medie, inferiori e superiori. Io mi rivolgo ai più piccoli e noto che sono cresciuti vedendo serie tv come “Mare fuori”, per esempio, dove la violenza è all’ordine del giorno. Credo che questa normalizzazione della violenza sia un messaggio sbagliato, soprattutto se arriva a chi deve ancora formare il proprio pensiero. Lo stupro di gruppo avvenuto a Palermo mi ha molto impressionata».

Il teatro che ruolo può svolgere?
«Il teatro è fondamentale per imparare a mettersi nei panni degli altri, o “nelle scarpe”, co­me si dice, perché lascia im­pronte che ci accompagnano nel nostro cammino. La violenza ha facilità a ramificarsi ma se si coltiva la non violenza, si può ramificare anche il bene. E il teatro aiuta a vedere attraverso gli occhi di chi ti circonda».

Fossano per lei è importante anche per l’incontro con la Corte dei Folli, compagnia che ormai l’ha quasi adottata. È vero che c’è un progetto in cantiere? So bene della scaramanzia dei teatranti ma mi dica solo sì o no.

«Sì, ci spero tanto».

Allora mi dica se è superstiziosa.

«Tantissimo, giro con un corno d’argento al collo e prima di en­trare in scena seguo una serie di rituali scaramantici».

Tipo?

«Ballo sempre la stessa canzone, “Dog Days Are Over” di Florence and the Machine ed eseguo degli esercizi fonoarticolatori che devono essere sempre gli stessi e nello stesso ordine».

È così precisa anche nella vita?

«No ma ho bisogno di rispettare una routine, un’organizzazione mentale, soprattutto la mattina: rifare il letto mi serve per attivarmi».

E a proposito di corpo, come si mantiene in forma?

«Faccio venti minuti di yoga e meditazione per mettermi in ascolto e mezz’ora di allenamento due o tre volte la settimana. O almeno ci provo».

E con il cibo, com’è messa?

«Sono onnivora ma negata a cu­cinare. La mia recente rovina è stata lavorare in Sicilia, lì c’è il mio girone infernale, la gola. Adoro i dolci al pistacchio. Cre­do che se riuscissi a riprodurre quella cucina sarei finita».

Quando ha capito che il teatro sarebbe stata la sua strada?

«Molto presto. Mia madre è ap­passionata e mi ha sempre portata con sé, mi sono immersa, persa e ritrovata tra poltrone di velluto e palchi dorati».

Ma la folgorazione quando è avvenuta?
«Dopo avere visto Eros Pagni in “Morte di un commesso viaggiatore”, una prova ai limiti dell’umano. Dopo il liceo sarei an­data a Roma a frequentare una scuola di recitazione e avrei in­contrato Edy Angelillo, una ma­estra molto generosa, e Ca­thy Marchand del Living Theatre».

Il suo modello di attrice?
«Anna Marchesini. Per l’ironia, la versatilità, la capacità di autodirigersi, per l’esplorazione di sé stessa attraverso sé stessa e gli altri. Massimo Lopez quando parla di lei ha gli occhi trasognati, come se avesse vissuto qualcosa di oltre».

Articolo a cura di Alessandra Bernocco

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