Alto contrasto | Aumenta dimensione carattere | Leggi il testo dell'articolo
Home Articoli Rivista Idea «L’olio piemontese nuova eccellenza che vi sorprenderà»

«L’olio piemontese nuova eccellenza che vi sorprenderà»

Marco Giachino, presidente del Consorzio per la tutela dell’olio extra vergine di oliva, presenta un fenomeno in piena crescita: «Nel 2023 la produzione in regione è salita del 30 per cento»

0
3

Una nicchia che sta crescendo, for­te di una tradizione storica e di un interesse vivo e pulsante: l’olio e la nostra regione, un binomio che sta funzionando come ci spiega Marco Gia­chino, presidente del Con­sorzio per la tutela dell’olio extra vergine di oliva Pie­monte, in questo viaggio, iniziato nel Medioevo e che continua nell’attualità.

Uliveti in Piemonte, siamo un po’ straniti.
«In realtà già nell’Alto Me­dioevo l’olivo era relativamente diffuso al nord, nei secoli XII e XIII si hanno numerose segnalazioni di oliveti nel Canavese e nel Biel­lese, passando dal Torinese fino alle Langhe, al Mon­ferrato ed al Roero».

Come prosegue la storia dell’olio nelle nostre zone?
«A metà del XVI secolo è documentata la presenza dell’olivo a Torino, Chieri, Moncalieri, Rivoli, Val di Susa, Pinerolo e Val Pellice. Troviamo tracce documentali delle coltivazioni anche in provincia di Cuneo, nel Sa­luzzese e Albese, a Santo Ste­fano Belbo, nel Monferrato, e in provincia di Alessandria».

Però, a un certo punto c’è stata la svolta.

«Le intense ondate di freddo dei primi anni del 1700 e le poderose gelate invernali tra la fine del secolo e il 1812 hanno determinato l’abbandono dell’olivo come coltura commercialmente sfruttabile a beneficio della vite e del vino già presente ma meno diffuso. Inoltre, i più agevoli scambi commerciali con le regioni del centro sud, hanno reso ancor più conveniente questa virata colturale durata fino alla fine del 1900».

A quando si deve, invece, questo nuovo interesse?
«Dalla fine degli Anni ’90 l’olivo ha ritrovato casa in Pie­monte per diversi motivi. Un uso privato, attraverso il recupero di terreni incolti, per abbellimento o per piccole produzioni familiari. Ci sono poi state aziende che hanno deciso una riconversione totale o parziale di colture non più produttive come un tempo. Una scelta fatta anche da chi già aveva dei vigneti, per redditi agricoli e anche per giocarsi la carta dell’ospitalità. L’olivo ha dimostrato di essere un ottimo volano per lo sviluppo turistico ed economico delle aree interessate».

Qual è la situazione attuale?

«In Piemonte si stimano circa 350 ettari coltivati a olivo, di questi, anche se in percentuale ridotta, gli hobbisti hanno dimostrato fortissimo interesse. Ci sono quindi circa 200mila – 250mila piante con una distribuzione disomogenea dovuta alle particolari ri­chieste ambientali della pianta, con una produzione che nel 2023 è aumentata del 30%».

L’interesse per il settore sta riguardando soprattutto Lan­ghe e Monferrato.

«Lentamente il Piemonte si sta popolando di olivicoltori, frantoiani e di semplici appassionati. Io stesso sono titolare di un’azienda agricola e ho 800 ulivi. In Langa sono sempre di più gli imprenditori che mi chiamano per avere informazioni. Presto, potrebbe essere costruito anche un nuovo frantoio. Attualmente in Piemonte ne abbiamo tre: Vialfrè e Settimo Vittone nel Torinese, Trino nel Ver­cellese. L’interesse per il settore riguarda anche il Sa­luzzese, la provincia di Cuneo e il Pinerolese».

Nel 2007 ha deciso di costituire un Consorzio per la tutela dell’olio extra vergine di oliva Piemonte.
«L’obiettivo è quello di ottenere una certificazione della qualità riconosciuta (Igp, Pat), identificare le migliori pratiche di coltivazione per l’ottenimento del miglior olio Evo possibile e per la diffusione della coltura olivicola in Piemonte. Il Consorzio raggruppa esclusivamente im­prenditori agricoli che hanno scelto di intraprendere professionalmente l’olivicoltura. At­tualmente i soci sono una de­cina rappresentanti oltre la metà delle superfici coltivate professionalmente e dislocati su tutto il territorio regionale: collina torinese, Monferrato, Sa­luzzese, Pinerolese, Lan­ghe».

Collaborate anche con diversi soggetti.
«Insieme alla Fondazione Agrion e al Dipartimento di Scienze agrarie, forestali e alimentari dell’Università di Torino, stiamo portando avanti un progetto per mappare le piante secolari per cercare il profilo unico dell’olio Evo del Piemonte, i risultati sono veramente incoraggianti e positivi. Abbiamo formato assaggiatori per la creazione del primo panel regionale in Piemonte attivo presso l’Università, grazie anche alla collaborazione della Camera di Commercio di Torino. Slowfood vuole inserire nella sua guida degli oli la nostra regione, che è l’unica che manca e questo sarà il primo “lavoro” di selezione del nostro neonato panel di assaggiatori. Infine, diversi produttori sono stati premiati per l’ottima qualità del prodotto, basti pensare che il comune di Olivola nell’Alessandrino otterrà il riconoscimento di “Città dell’olio”, il 24 febbraio all’interno di una giornata in cui si svolgerà un importante convegno».

In tema di assaggiatori, com’è l’olio piemontese?

«Commercialmente leggerissimo e a bassa acidità, una vera sorpresa. Tra i partecipanti all’ultimo corso c’erano quattro imprenditori. È fondamentale, per mantenere alta la qualità, che le persone diventino consumatori più attenti e consapevoli. Quando ho fatto il corso ad Imperia ho scoperto che quello che apprezzavo nell’olio era un difetto».

Obiettivi a breve a termine?

«Vorremmo organizzare un piccolo dibattito con la Re­gione, l’Università, la Camera di Commercio di Torino per commentare lo stato attuale di questo settore in Piemonte, ma­gari coinvolgendo con assaggi e messaggi diretti ristoratori, agricoltori, adulti e giovani appassionati. In­somma, un modo per presentare un settore che in questi anni silenziosamente ma con la caparbietà dell’agricoltore si è creato un suo piccolissimo spazio».

Articolo a cura di Daniele Vaira

BaNNER
Social media & sharing icons powered by UltimatelySocial