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«Anche in politica la filiera corta fa bene a tutti»

Carriera e aspirazioni del consigliere provinciale Massimo Antoniotti: «Sinergie con le persone»

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«La politica è prima di tutto ascoltare, toccare con ma­no le situazioni, cercando so­luzioni rapide e in sinergia; è mettersi al servizio delle persone»: a parlare è Massimo Antoniotti, consigliere provinciale con deleghe a viabilità, tartufi e pesca.

Un’affermazione non scontata la sua. Tanto più di questi tempi, a essere non scontata è la capacità di passare dalle parole ai fatti, di dare sostanza a un pensiero. Forse è più semplice per chi ha cominciato dal basso. Antoniotti è tra questi. Innamorato della Po­litica, ha avviato la sua esperienza di amministratore a Borgomale, dove risiede, di cui è stato consigliere, poi vicesindaco e sindaco per 15 anni. Eletto in Consiglio provinciale nel 2018 e riconfermato nel 2021 come vicepresidente e poi come presidente reggente, nel passaggio tra Federico Borgna e Luca Ro­baldo.

Conosciamo la sua attività pubblica, ma chi è Massimo Antoniotti nel privato? Ci parli di lei…
«Ho 54 anni, sono felicemente sposato con Renata, im­prenditrice agricola; abbiamo due figlie, Lisa e Federica di 25 e 23 anni, entrambe im­piegate. Mia moglie è stata la mia prima grande fortuna: conosce la mia personalità e mi supporta dosando sapientemente silenzi e parole. L’al­tra grande fortuna è stata incontrare la famiglia Cus­sino, fondatrice del Gruppo Idrocentro Spa, dove collaboro come agente di commercio dal 1998: qui ho imparato l’importanza di ascoltare i propri interlocutori per capirne le necessità e di fornire loro risposte rapide e chiare, siano esse positive o negative. Consigli pragmatici che ho fatto miei anche come amministratore».

Quale, invece, l’incontro che ha segnato la svolta nella sua esperienza di amministratore?
«Ne cito due. Come consigliere comunale di Borgomale incontrai Alberto Cirio, all’epoca vicesindaco di Alba. Mi colpì perché già sicuro di sé e molto preparato. Da lì, ho capito che avrebbe avuto un ruolo da protagonista e si sa­rebbe potuto costruire molto ragionando in termini più ampi, di territorio. La vera svolta è stata il Consiglio provinciale dove ho messo a frutto le competenze acquisite negli anni a fianco di Federico Borgna prima e Luca Robaldo dopo, entrambe persone eccezionali con cui ho lavorato e lavoro tutt’ora molto bene».

Nei momenti in cui ha avuto voglia di lasciar perdere, chi le ha dato lo stimolo a proseguire?

«I sindaci del territorio: fanno un lavoro straordinario, perché lo fanno insieme. In tutte le battaglie ci siamo seduti a un tavolo e confrontati su soluzioni condivise mettendo a tacere campanilismi e posizioni politiche a favore del bene comune. È avvenuto an­che quando ci hanno stimolato a metterci in gioco, ciascuno evidenziando le peculiarità del proprio Comune. Mi piace citare i bandi sul patrimonio culturale e paesaggistico della Fondazione Crc e della Regione Piemonte perché hanno suscitato una sana competizione e, nel tempo, cambiato il volto dei nostri paesi. Oggi, grazie anche ai fondi del Pnrr, tante iniziative sono state completate fa­cendo sinergia. Se non ci fosse stato questo clima mi sarei forse stancato dell’attività politica».

Come consigliere provinciale si è occupato di opere pubbliche contribuendo alla risoluzione di questioni spinose, come l’ospedale di Verduno e l’autostrada Asti-Cuneo. Qual è il prossimo nodo da sciogliere?
«La carenza di infrastrutture. Nonostante questo, le aziende hanno fatto un lavoro straordinario che solo con la tenacia di noi cuneesi si è potuto realizzare. Dopo aver portato a termine l’ultimo tratto dell’Asti-Cuneo, si dovrà fare un ultimo sforzo, dedicandoci alle opere di completamento, per renderla maggiormente fruibile da tutti i territori. Inoltre, bisognerà ragionare sul tunnel del Mercantour, sbocco naturale sulle strade europee. Un’infrastruttura rimasta al palo per anni: è il momento di battere su quel chiodo».

Ha dichiarato che lo sport le ha insegnato molto. Che cosa in particolare?

«Condivido con le mie figlie la passione per lo sci che hanno praticato a livello agonistico: è uno sport che richiede tanti sacrifici in cui poi ci si gioca tutto in pochi minuti. A me ha insegnato a riflettere per poi esprimere il meglio, dopo averlo ben ponderato e ad avere un grande rispetto per la montagna. Poi c’è la pallapugno, emblema dei valori e delle tradizioni delle nostre vallate, che deve avere un ruolo anche in futuro per due aspetti: consegnare ai giovani un’identità più completa consentendo loro di rivivere le loro radici in chiave attuale e valorizzare il territorio dal punto di vista turistico. An­che per questo sto collaborando ad un progetto con altre persone, per sostenere la squadra dell’Alta Langa e ci tengo a ringraziare tutti gli sponsor che negli anni hanno dato il loro contributo rendendo sempre più competitivo e appassionante il campionato».

Come si legano pallapugno e turismo?

«Il balon è il nostro sport più tradizionale e popolare. È un patrimonio da non perdere perché i turisti che vengono (e spesso ritornano) da noi, vo­gliono conoscere e condividere la nostra storia, il nostro modo di vivere. In questo oggi siamo tra i primi della classe e dobbiamo evitare il rischio di omologarci al “così fan tutti”, mantenendo con costanza la nostra identità. Siamo partiti da formaggio, pecore e pietre, cioè da cose semplici, non possiamo scostarci troppo dalla genuinità delle origini».

Quali strategie per migliorare l’offerta turistica?
«Credo che dovremo avere due attenzioni. La prima, imprescindibile, è la valorizzazione delle nostre tradizioni. La seconda, altrettanto inderogabile, è potenziare il collegamento tra le due Atl della provincia per offrire un ventaglio completo di possibilità, mettendo in risalto ognuna le proprie caratteristiche. Poche province possono mettere in campo un’offerta va­riegata come quella cuneese, senza dimenticare che il turismo porta risorse sul territorio favorendo l’insediamento di nuove attività, evitando lo spopolamento delle zone più emarginate».

Se avesse una bacchetta magica quale strumento vorrebbe per migliorare la sua attività politica?
«Vorrei un drone speciale che fotografi il territorio, anche dal punto di vista economico e sociale, a inizio e fine mandato, per fornire un’immagine concreta di quanto realizzato e non. Facciamo tanti sforzi di progettazione, altrettanti per concludere le opere, ma abbiamo perso l’abitudine di inaugurarle. Non ho nostalgia di tagliare nastri o offrire passerelle ai politici, ma di inaugurazioni intese come consegna istituzionale di ciò che si è fatto. Il mio sogno è una politica “a filiera corta”: ascolto delle esigenze, condivisione di soluzioni, realizzazione di progetti capaci di lasciare il segno a servizio di cittadini e territorio».

Articolo a cura di Alice Bobicedi

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