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San Bernardino: nuova luce per la statua del Cristo Deposto

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Nuova luce per la statua lignea del Cristo Deposto, nella chiesa di San Bernardino di Canale. Ove martedì 19 dicembre, alle 15, in collaborazione con l’Unitre di Canale, l’Associazione Confraternita di S. Bernardino Onlus, presenterà il restauro del pregevole manufatto sacro. La statua è da ascrivere ad uno scultore di primo ‘700 ed era originariamente collocata nella nicchia sottostante l’altare maggiore della chiesa di San Giovanni, utilizzata per le processioni e per le funzioni del venerdì santo. E’ rimasta per lungo tempo custodita nella chiesa di San Bernardino e solo recentemente è stata sottoposta ad un delicato lavoro di restauro e risanamento a cura di Enrico Dellapiana e Lorenza Centanni de “La bottegaccia” di Alba.

Così dice il CdA guidato dal presidente Giuseppe Marengo: L’operazione ha restituito integrità alla statua ed ha riportato alla luce i colori originari che accentuano la compostezza e la finezza dei particolari della scultura. Verrà collocata ed esposta qui, presso l’altare del crocefisso, in una nuova apposita teca predisposta per proteggere questo capolavoro dalla polvere e da eventuali danni.

Si tratta di un nuovo tocco perfezionante per un vero simbolo della capitale del pesco, soggetta a continui cambiamenti nel tempo e tra le epoche, sino all’ultimo restauro condotto dalla Onlus stessa, con allora a capo il predecessore di Marengo, ossia Enrico Rustichelli, ben supportato in quel periodo da Parrocchia e Comune, oltre che da un prezioso lavoro di ricerca di fondi tra enti pubblici e fondazioni bancarie.

Del resto, la stessa piazza San Bernardino non è stata sempre così.

Immaginatela come un passaggio e un incrocio di canali: perché, in fondo, l’acqua è un elemento fondamentale del nostro paese, a partire dal suo stesso nome.

Pensatela anche come un luogo fuori da quelle che dovevano essere le mura della cittadina: e, andando più in là nel tempo, come un posto in cui radunare la gente in armi, un grande mercato… un campo da gioco.

Sì, piazza San Bernardino è stata tutto questo: appena fuori dalla cinta fortificata, dalle porte del centro abitato, che sorgevano probabilmente nello spazio che ora è all’inizio dei portici, tra una banca e un’osteria. Proprio lì, i “Battuti Bianchi” decisero di costruire la loro Confraternita: fuggendo dalla loro prima sede, che era nell’attuale chiesa parrocchiale. Come i “cugini” e “avversari” che indossavano allora il colore nero di San Giovanni, si occupavano di opere di carità, di preghiera, di aiuto vicendevole: ed erano anche in gamba, perché di soldi ne avevano parecchi. Abbastanza per spostarsi prima dalla loro “casa” originaria posta nella “piazza della comunità”, troppo vicina ai Battuti Neri, alla chiesa parrocchiale. E, lì, a costruirsi un organo, da mettere a disposizione della collettività, ma ovviamente con diritto di precedenza. Gli scritti del ‘500 raccontano di quando si mettevano a suonarlo, e a celebrarsi la propria Messa, anche quando era in corso la liturgia della domenica, oppure i vespri: con tutti i bisticci conseguenti, tanto da far intervenire Vescovo e Sindaco, e convincerli -prima di essere rimpiazzati per qualche tempo dai Francescani- a farsi più in là ed infine a costruirsi da sé un nuovo luogo di ritrovo, di preghiera, ma anche di controllo dei propri poteri.

Nasceva così, nel 1727, l’attuale Confraternita: un piccolo capolavoro in stile barocco, costruito in poco più di sei anni, più altri dieci per il campanile che luccica ancora per via dei “palèt”, le mattonelle che stanno sulla sua cima.

San Bernardino, già da solo, è un posto per cui ci vorrebbe un giorno intero a spiegarlo tutto: dalle pitture attorno al coro dietro l’altare, passando per piccoli e grandi dettagli che rendono preziosissima questa chiesa.

C’è il “Cristo” con i capelli veri, che forse c’era già prima che venisse costruito l’edificio: e che veniva portato fuori dalla porta ogni volta in cui bisognava raccomandarsi al Cielo perché era piovuto troppo, oppure perché non era piovuto per niente.

Notevoli, le rappresentazioni del Gesù custodite qui: quello fustigato alla colonna, in legno, chiuso dalle inferriate. E c’è quello in alto, nascosto nel palco opposto a quello da cui veniva pronunciata l’omelia, tanto da meritarsi in tempi più recenti l’appellativo scherzoso del “Cristo Cecchino”. E c’è il Cristo Deposto, appunto.

C’è la Statua della Madonna del Soccorso: che Don Masino Nizza, per tanti anni rettore della chiesa, aveva trovato abbandonata in un magazzino ai Tre Rivi di Monteu Roero. La portò lì con la sua Fiat 500, e la fece restaurare dal professor Gianni Cerrato: dicendo infine, in sede di benedizione “noi ti abbiamo soccorso, ed ora tu soccorri noi!”.

C’è la sacrestia e i locali sovrastanti il “Crist” (che, di fronte, guarda alla Madonna Addolorata: segno del passaggio devozionale delle popolazioni spagnole), che un tempo divennero luogo di ammassamento di materiali poco affini con la religiosità: basti pensare al decreto curiale che impose a tale “Briga” di liberare le stanze dai cartoni lì ammucchiati, a causa della loro infiammabilità.

In una nicchia a fianco della bussola d’ingresso, c’è poi la statua di Sant’Espedito: secondo la tradizione, soldato cristiano martirizzato per la sua Fede, combattente nella leggendaria Legione Tebea insieme a San Vittore e San Defendente, rispettivamente patroni di Canale e di Valpone. E’ “il santo più veloce del Paradiso”, raccontava lo stesso Don Nizza, proprio perché per vocazione è colui al quale ci si rivolge per ottenere le grazie più urgenti. Infatti, la statua tiene in mano la scritta “Hodie”, ossia “subito”: e calpesta con un piede la cornacchia che ha nel becco la parola “Cras”, che invita invece a rimandare. E’ un Santo lesto.

Il coro, dicevamo: e sì che qui, durante la Novena di Natale, hanno resistito canti in latino (il “canté rege”, ossia il “Rege venturum dominum”, e “En clara vox redarguit”) ed altri in italiano arcaico, come “Vezzoso bel bambin”. La voce è memoria.

BaNNER
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