Stiamo tutti dalla stessa parte: contro la violenza di genere

Tanti messaggi di valore nell’incontro organizzato da fondazione Banca d’Alba

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Le tante, troppe, ragazze e donne che subiscono – o hanno subito – violenze devono spesso fa­re i conti anche con la solitudine. Una solitudine tremenda, che amplifica le loro sofferenze. Ma del resto riuscire a denunciare il proprio aguzzino o, comunque, condividere il dramma che si sta vivendo non è facile. Anzi, a volte è il passaggio più difficile. Per tutte queste donne (e non solo) la notizia che porta un raggio di sole è questa: ci sono più persone di quante si possano immaginare pronte a stare dalla loro parte. Lo si è capito molto bene giovedì scorso, al Teatro Sociale di Alba, dove, di fronte a centinaia di studentesse e studenti delle scuole superiori albesi, si è svolto l’incontro “Dalla tua parte”, appuntamento fortemente voluto dalla Fondazione Banca d’Alba per promuovere la lotta contro la violenza di genere. Un appuntamento che se da un lato ha spiegato come riconoscere eventuali episodi di violenza subiti, dall’altro ha mostrato come la sensibilità sul tema sia complessivamente cresciuta rispetto al passato e, soprattutto, che al fianco delle vittime c’è una rete di esperti affiatata e solidale, calorosa come il più bello degli abbracci.
Il dibattito, moderato da Anna Manca, consigliera della Fonda­zio­ne Banca d’Alba (in platea, l’istituto di credito cooperativo era rappresentato anche dal presidente Tino Cornaglia e dal direttore generale Enzo Cazzul­lo), si è aperto con l’intervento di Marco Bertoluzzo, criminologo e direttore del Consorzio Socio-Assistenziale Alba, Langhe, Roe­ro: «Fatti come l’uccisione di Giu­lia Cecchettin – ha affermato – devono farci riflettere. Dobbia­mo pensare a come gestiamo la nostra rabbia e renderci conto che anche una sola parolaccia detta nei confronti degli altri può rappresentare una violenza. Una violenza che fa male tanto quanto quella fisica». Ma perché si arriva a queste situazioni? An­co­ra Bertoluzzo: «Si colpisce l’altro con la violenza quando non lo percepiamo più come persona, bensì come un nemico o, co­munque, come un’entità non umana. Non a caso i nazisti rendevano le loro vittime “disumane”, tagliando loro tutti i capelli, vestendole con dei sacchi e chia­mandole per numero invece che per nome». Di fronte a tutto questo l’importante è attivarsi per fermare la violenza. Anche se si è “solo” spettatori. «Quan­do notiamo un atteggiamento violento – ha concluso il criminologo – interveniamo. Prendia­mo­ci le nostre responsabilità: per troppo tempo siamo rimasti in silenzio».
Le Forze dell’Ordine sono già pas­­­sate all’azione: oltre, chiaramente, alle attività di repressione, sono impegnate con una serie di progetti, «volti a promuovere la cultura della legalità e, quindi, a prevenire la possibilità che determinati reati vengano commessi», co­me ha spiegato il comandante della Compagnia dei Carabinieri di Alba, Giuseppe Santoro. «Pur­troppo, anche nella nostra provincia, i reati da “codice rosso” sono aumentati – ha det­to il Capitano -. Per questo in­ve­stiamo molto sul­l’educazione e sulla formazione. Dobbiamo im­pa­rare a essere consapevoli del fatto che anche un insulto o, co­munque, parole umilianti sono violenza».
Il primo passo è «prendere consapevolezza di tali violenze», ha aggiunto il maresciallo dei Cara­binieri, Giulia Viale, aggiungendo: «Una minaccia, un’ingiuria, una presa in giro, una molestia, una discriminazione legata allo stato economico o lavorativo sono vere violenze, anche quando colpiscono altri». A quel punto, senza indugi, bisogna chiedere aiuto. A chi? «Alle Forze dell’Ordine o ai centri antiviolenza – ha proseguito Viale -. Poi sa­remo noi a stabilire come è meglio intervenire». La segnalazione alle Forze dell’Ordine o alla rete antiviolenza tutelerà comunque chi l’ha effettuata. «E poi – ha osservato Mariella Faraco, ispettore superiore e responsabile sezione Reati contro la Per­so­na della Squadra Mobile-Que­stu­ra di Cuneo – ci sono tante forme giuridiche che consentono di se­gna­lare le violenze garantendo l’anonimato e, in generale, tutelando la vittima. Il nostro impegno, comunque, parte ben prima, dalla prevenzione a favore dei più giovani. Così come si sono evolute le normative in ma­teria, è cresciuta pure la professionalità con la quale gestiamo tali situazioni».
Concetti ribaditi da Laura Deo­da­to, sostituto procuratore della Repubblica al Tribunale di Asti, che ha però voluto ampliare il discorso: «Stare “dalla tua par­te” significa favorire una presa di coscienza collettiva, che spinga ciascuno a intervenire direttamente di fronte a episodi di violenza, ma anche imparare a ri­spettare sé stessi, a riconoscere il proprio valore. Solo così sa­premo rispettare gli altri».
È lo stesso messaggio che ha trasmesso, in videocollegamento, Imma, insegnante campana, al centro, suo malgrado, di una terribile storia di violenza dai risvolti drammatici.
«Non siamo, e vale sia per le donne sia per gli uomini, di nessuno. Non facciamoci limitare e condizionare; cerchiamo, invece, di difendere sempre ciò che sia­mo e vogliamo. Camminiamo in­sie­me e rispettiamoci. Perché ognuno di noi conta», ha concluso l’avvocato Silvia Lorenzino del Centro Antiviolenza Svolta Donna (Rete D.i.Re).
Tanti applausi, carichi di emozione, con lo sguardo rivolto verso quella poltrona ri­masta vuota do­po che Giulia è stata uccisa: met­­tiamoci tutti dalla stessa par­te. Contro la violenza.