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«Nelle montagne cerco ogni volta lo spirito dell’altro»

L’illustratrice di Beinette Marianna Bruno: «I miei disegni invitano a interrogarsi sull’altra dimensione. Sogno il Tibet ma prima vorrei trasferirmi in Valle Maira»

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Disegno e montagna. Ruota attorno a que­ste due parole la vita di Marianna Bru­no. Parole che sono degli universi infiniti, dove la gio­vane illustratrice e scrittrice di Bei­net­te (anche guida al Mu­seo della Stampa di Mondovì) ricerca la co­sa più difficile: l’Al­tro. Questa ricerca – che mette al centro di tutto la spiritualità e l’anima del folclore – ha già prodotto diversi risultati, come il libro in pubblicazione a fine novembre “Re­cher­che. Sto­rie di montagne sa­cre” (Idee­stor­te­paper), a cui si è ispirata la re­cente mostra organizzata in Sala Olivetti, a Bei­nette. L’abbiamo intervistata.

Marianna, matita e colori in ma­no e sguardo verso montagne e natura. Da quando la ac­com­pa­gnano queste passioni?
«Da sempre. Il disegno mi apparteneva già da piccolissima».

Che ricordi ha?
«Ricordo di aver sempre disegnato tantissimo e di essere stata costantemente incentivata a farlo. Alle elementari ho avuto la fortuna di incontrare insegnanti che hanno colto la mia predisposizione e, di conseguenza, mi hanno incoraggiata parecchio».

Perché proprio il disegno?
«Sono sempre stata una ragazza molto seria e rispettosa di tutte le regole. Il disegno era, ed è tuttora, una via di fuga, uno spazio sicuro da esplorare per potermi esprimere, riflettere e sperimentare senza limiti».

E la natura?
«Pure quella c’è sempre stata, anche se me ne sono accorta più tardi. Sono stata portata in montagna – al Santuario di San­t’An­na di Vinadio, per la precisione – ad appena dieci giorni dalla nascita: poi è stato un crescendo, dato che i miei hanno continuato portarmi in mezzo alla natura, per camminare, fare escursioni, sciare. Tanto d’e­sta­te quanto d’inverno…».

Però?
«Vivendo e frequentando montagna e natura in maniera co­stante, si trattava per me di una cosa quasi scontata. Non co­glievo altro. Mi sembrava normale e basta».

Invece?
«Con il tempo questo legame è diventato qualcosa di immenso. In me è cresciuta la consapevolezza di quanto fosse po­tente la natura. Anche dal pun­to di vista creativo».

Una fonte di ispirazione?
«Molto di più. È un qualcosa che nutre la mia creatività e che alimenta la mia ricerca del­l’Altro».

Cos’è l’Altro?
«È un continuo inizio e mai un punto di arrivo. Sono tan­te domande che fluiscono».

Ad esempio?
«Sono degli interrogativi im­mensi: c’è qualcosa oltre quello che vediamo? E se c’è di cosa si tratta? È una forza? Esiste una dimensione più spirituale, intangibile, che va oltre alla materialità? E questa di­mensione come interagisce con la nostra vita? Ecco, la montagna e la natura sono l’occasione per indagare tutti questi aspetti».

E si trovano le risposte?
«Per trovare le risposte a queste domande credo non basti una vita intera. A me, comunque, interessa spingere ognuno a interrogarsi».

Lei è credente?
«Sì, sono credente e cristiana. Pe­rò non amo le etichette, specie per questioni così personali. Mi sento, in senso più ampio, “spirituale”, con la spiritualità da intendersi come ricerca».

Il libro in uscita a novembre e che ha già ispirato la mostra di Beinette invita a ricercare?
«Sì. Tutto è nato nel periodo del Covid. Con i lockdown mi ero resa conto di quanto mi mancasse stare in montagna e in mezzo alla natura a respirare aria fresca. Così, ai miei relatori della tesi di laurea, ho detto che avrei voluto realizzare un libro illustrato sulla montagna».

E loro?
«Ne furono entusiasti. Loro si recano in Tibet ogni anno per alcuni progetti con le scuole del posto. Così mi hanno consigliato un po’ di letture».

Cosa è emerso dallo studio di questi scritti?
«È emersa la sacralità della montagna. In Tibet ci sono addirittura otto montagne sa­cre e, attorno a queste meraviglie della natura, si sono sviluppati miti, leggende e folclore. Ecco perché ho iniziato a illustrarle. E non mi sono fermata a quelle tibetane».

Un atlante?
«Un atlante spirituale, in cui, attraverso le illustrazioni e i racconti che le accompagnano, racconto storie e suggestioni, cercando di spingere ciascuno a interrogarsi e a ricercare per conto proprio».

Come ha rappresentato le montagne cuneesi?
«Ho provato a coglierne lo spirito e l’ho rappresentato come una statuetta votiva che “indossa” molti simboli, come la stella alpina, la pigna del pino mugo, quella del pino cembro, eccetera».

Andrà a visitare le montagne che ha disegnato?
«Purtroppo, molte di esse si trovano in luoghi non facilmente accessibili. Ma sarebbe davvero un sogno. Penso, in particolare, al Kailash, il monte più sacro dell’Asia che, proprio per questa sua sacralità, non può essere scalato: si possono solo effettuare pellegrinaggi camminando intorno ai suoi versanti».

Qual è invece la sua montagna sacra?
«Quella della Valle Maira: è il mio luogo del cuore».

Ci andrà ad abitare?
«Credo di sì. Il lavoro di illustratrice me lo permetterebbe».

A proposito di lavoro, quali sono i prossimi obiettivi?
«Sono tanti. Ho appena ultimato un secondo libro per una casa editrice francese. E poi potrebbero esserci alcune im­portanti collaborazioni. Una cosa è certa: tra montagna e folclore, continuerò la mia ricerca del­l’Al­tro. Per tutta la vita».

BaNNER
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