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«Come da bambina: mi devo divertire per avere risultati»

L’ex olimpionica di salto in alto ha strappato applausi a “Letti di Notte”, il festival di Carmagnola: «Sono per metà piemontese e una volta ho girato le Langhe con mio figlio su una jeep, tra colline e cantine. Ai miei tempi poca attenzione per le atlete donne. Grazie anche ai miei successi, le cose sono cambiate»

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Nonostante la concomitanza con la finale di Cham­pions, sabato scor­­­so la platea del Festival “Letti di Notte” a Carmagnola era quella di un grande avvenimento. Che con la sua straordinaria immediatezza ed autenticità, Sara Simeoni ha trasformato ben presto in un divertente, a tratti esilarante, incontro tra vecchi amici. Come quando ha ricordato il 4 agosto del 1978 a Brescia, qualche minuto prima del suo record del mondo: «Avevo la pressione bassa, non stavo in piedi. Venne da me Livio Berruti con una bottiglia di Bonarda piemontese. Mi convinse a berne un po’ assieme a lui. E magicamente saltai 2,01 al secondo tentativo».

Sara, il titolo del libro “Una vi­ta in alto” sottolinea come i record l’abbiano accompagnata oltre i confini dello sport?
«Ho avuto la fortuna di avere, sportivamente, tante soddisfazioni. Ti abitui nella vita ad agire in un certo modo e ad affrontare ogni cosa con lo stesso impegno. Perché vuoi rimanere sempre “in alto”».

Lo sport ha cambiato il suo modo di pensare?
«O forse lo sport ha fatto venir fuori quello che in fondo era già il mio modo di essere: sono portata ad affrontare con lo stesso impegno qualsiasi compito. Ma c’è un segreto: mi devo divertire e se questo accade, allora mi accorgo che lo faccio anche seriamente».

Ciò che si definisce passione?
«Direi: il piacere in quello che si fa».

È alla base dei successi?
«Credo che sia fondamentale, migliorarsi non è semplice perché non puoi sperare solo nella fortuna. Quella vale una volta, ma poi devi andartela a cercare. E se non ti piace ciò che fai, fatichi a sopportare qualsiasi lavoro. Io conservo lo spirito che avevo da bambina, mi deve piacere quello che faccio».

Lo sport è strumento eccezionale, eppure in Italia manca una cultura sportiva.
«C’è ancora tanto da fare. Se penso a quanto mi sono allenata, alle scelte difficili che ho fatto, spesso ho pensato: è stata una cosa da pazzi, chi me l’ha fatto fare… Ma in quei momenti per me si trattava della cosa più importante, allora sopportavo la fatica e le rinunce, perché dovevo restare concentrata».

Finita l’attività, lei non è stata coinvolta nell’atletica con ruoli istituzionali. Un segnale del gap tra uomini e donne?
«In realtà per certi compiti ci vuole anche il carattere giusto, io più di tanto se non capisco qualcosa, poi ci rinuncio…».

Però intanto ha avuto successo in tv: dal programma sulle Olimpiadi a “Ballando con le stelle”.

«Ma anche lì forse è andata bene perché non ho dovuto sgomitare e a un certo punto mi sono trovata davanti a questa opportunità e ci ho provato. Se poi è arrivato un successo che non era preventivato, a maggior ragione non può che farmi piacere».

Ci sarà un seguito?
«Non so, non mi dicono mai niente! Se arriverà, lo saprò quando suonerà il telefono… Non mi aspetto niente, quando un seguito me lo sarei aspettato, non è arrivato. Anzi. Diciamo che vado bene caratterialmente per fare in tv solo certe cose e non altre».

Quanto è cambiato lo sport rispetto ai suoi tempi?

«È cambiato tutto, in generale: organizzazione, mentalità, modalità. Già quando ho smesso avevo capito che qualcosa co­minciava a starmi stretto: buon per i giovani di oggi che ci sia tanta qualità».

Non ha in programma nuove iniziative?
«Ma sono in pensione! L’op­portunità con la Rai non era prevista, così come quella di scrivere un libro. Ecco, da quando sono in pensione mi muovo molto più di prima. Ho una serie di incontri in programma e non mi soffermo troppo su cosa vorrei fare da grande, ho altro a cui pensare».

Il suo viaggio in Piemonte non è casuale.
«No, perché sono mezza piemontese da parte di mamma. Lei era di Ulzio, vicino a Sestriere, in Val di Susa. Quindi con mio marito (il suo ex allenatore Erminio Azzaro, ndr) ne ho approfittato per andare a trovare i parenti».

È vero che conosce bene le Langhe?
«Ci sono stata in diverse occasioni, una volta le ho girate in jeep assieme a mio figlio, su e giù per le colline. Conosco un po’ di cantine, apprezzo il tartufo e il vino. A me piace seguire trasmissioni come “Linea verde” dove spesso ti mostrano meraviglie in giro per l’Italia che varrebbe la pena di visitare con calma. Ma non c’è sempre tempo».

Da giovane, con le gare di atletica ha viaggiato nel mondo.
«Era infatti un modo per scoprire nuove realtà. Guardavo il programma a inizio stagione e mi dicevo: che bello, andrò là dove non sono mai stata!».

Davvero non ebbe alcun premio in denaro dopo la medaglia d’oro di Mosca?
«Doveva bastarci quel risultato. Ma quando diedero un compenso a Pietro Mennea per il suo record, dovettero riconoscerlo anche a me. Un po’ meno sostanzioso, ma co­munque… Fu un grande progresso per un’atleta donna».

E il record a Brescia non fu ripreso dalle telecamere Rai?
«Proprio così, erano tutte dedicate ai maschi. Anni dopo per fortuna una tv locale mi regalò il video di quell’impresa».

Segue ancora l’atletica?
«Vedo in tv qualche gara ma non come prima, chiaramente. L’immagine delle atlete è cambiata? Sì. Ce ne sono tante che sanno curare l’immagine e ottengono risultati. Il problema è quando questi non arrivano».

La sua generazione ha attraversato trasformazioni sociali non indifferenti.

«Un periodo bello però non semplice. Ma al tempo stesso sono stati anni in cui c’erano speranze per il futuro e lo sport portava il suo contributo con risultati ed entusiasmo. Era come se si desse linfa a chi aveva problemi più seri. Un modo per invitare a tenere duro, a insistere, a investire su sé stessi. Perciò, è stato un bel periodo. Nell’atletica in quegli anni è nato un centro studi, arrivavano luminari anche dall’estero. Per noi donne fino a quel momento c’era un solo tipo di allenamento, quello per i maschi “adattato”. Da allora hanno cominciato a studiarci. Ora le atlete hanno la pappa fatta, ma è anche merito del nostro periodo se si è capito che bisognava investire sullo sport femminile».

Come vede la realtà attuale?
«A guardare e sentire ciò che accade, non facile. Si stanno rivoluzionando molti settori, ad esempio quello del lavoro, ed è difficile capire da che parte si va. Però si deve essere ottimisti. Penso a mio figlio che ha 33 anni: è un bravo ragazzo, con la testa sulle spalle. Non può essere che persone così non abbiano opportunità. E a quell’età serve entusiasmo: si è giovani una volta sola»

CHI È

Nata a Rivoli Veronese, ha appena compiuto 70 anni. È stata campionessa di salto in alto,
vincitrice della medaglia d’oro all’Olimpiade di Mosca del 1980 mentre nel 1978 aveva stabilito un record europeo (2,01 metri) rimasto imbattuto per molti anni

COSA HA FATTO

Dopo una luminosa carriera nell’atletica, è stata insegnante prima di intraprendere una carriera televisiva di successo: i suoi coloriti interventi
a “Il circolo degli anelli”, trasmissione Rai per
le Olimpiadi di Tokyo, ne hanno aumentato
la popolarità. Ha partecipato anche a “Ballando”

COSA FA

Ha scritto il libro “Una vita in alto” assieme al giornalista Rai Marco Franzelli che, ha ricordato lei stessa, «fece proprio con me la sua prima intervista». Sabato è stata a Carmagnola, ospite d’onore per l’ultima serata del festival “Letti di Notte”

BaNNER
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