La Corte dei Folli «C’è bisogno di teatro»

La compagnia fossanese: «Qui siamo ripartiti dopo 20 anni di buco. E il pubblico fa proseliti»

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Quando l’amatoriale fa davvero sul serio. Mille compagnie in Italia, ottantasei soltanto in Piemonte. Sono gli attuali nu­meri che arrivano dalla Uilt, Unione Italiana Libero Teatro, nata nel 1977 per volontà di teatranti dallo sguardo lungo. Tra questi Aldo Nicolaj, autore di testi tradotti e rappresentati in tutto il mondo, fossanese doc, come lo sono Cristina Viglietta e Pinuccio Bellone, fondatori e punte di diamante de La Corte dei Folli, una delle compagnie più attive, organizzate e anche premiate della Uilt. Li incontro nella loro nuova sede, un posticino niente male, proprio dentro le mura del castello a quattro torri, tra volumi dedicati e due pareti tappezzate di locandine che testimoniano il successo di stagioni ospitate ormai da un po’ di anni presso il Teatro dei Portici.

A Roma in un posto così ci farebbero un Teatro Stabile.
«Siamo molto fortunati. Il comune ci ha messo a disposizione questa sede e noi ce la siamo ristrutturata, pavimento, muri, soffitto e pure l’americana curva (la struttura di luci che rispettano la curvatura della volta, ndr), abbiamo fatto tutto da soli, con pochi soldi».

Ottimo lavoro, qui si possono fare proprio spettacoli, non solo prove.
«Beh, consideri che il pubblico fossanese è molto cresciuto, difficile farlo stare qui dentro».
Ecco, parliamo del pubblico.
«Ormai abbiamo le liste d’attesa. Il pubblico fa proseliti, da un po’ di anni l’abbonamento lo fanno prima di conoscere il cartellone».

Una vera e propria fidelizzazione.
«La gente ha bisogno di teatro. A Fossano siamo ripartiti dopo vent’anni di buco. Prima chi voleva andare a teatro doveva andare a Savigliano, Bra, Cuneo, oppure a Torino. Il maestro Beppe Maiolino negli anni Ottanta organizzava i pullman».

Ricordo bene. Però se adesso resta in città significa che non lo avete deluso. Cosa significa per voi “libero teatro”?
«Abbiamo la facoltà di scegliere i testi, non dipendiamo da logiche di mercato. Facciamo teatro per piacere e non con l’ansia della pagnotta e cerchiamo di tessere rapporti proficui dal punto di vista sia teatrale sia umano. E i risultati parlano chiaro: ottocento eventi complessivi nell’arco di vent’anni, cinquantatré spettacoli, produzioni per quasi cinquecento repliche sul territorio nazionale».

Quando è nata la Corte dei Folli?
«Nel 2002, dopo un corso tenuto in collaborazione con Antonio Martorello (autore, regista e direttore artistico della Mascateatrale, altro gruppo molto attivo a Fossano e sul territorio, ndr), per volontà di alcuni corsisti».

L’aspetto legato alla formazione infatti vi contraddistingue tuttora.
«Abbiamo quattro aule didattiche, una di adulti, seguiti da Play Magliano, attore proveniente dalla scuola bolognese di Alessandra Galante Garrone e Vittorio Franceschi e tre di ragazzi, seguiti da Stefano Sandroni, un educatore professionista che attraverso il teatro fa un importantissimo lavoro di inclusione. Sentiamo una grande responsabilità in questo senso e crediamo che il teatro sia un mezzo privilegiato».

E questo aldilà della performance.
«Certo, anche se la performance è anche per loro un banco di prova. Recentemente abbiamo assistito al saggio di fine corso, dopo il terzo anno, uno spettacolo a tuti gli effetti. Un lavoro molto forte, che prende spunto dal romanzo “Niente” di Janne Teller».

Nelle note si parla di “un testo di de-formazione che ha il coraggio di mostrare come una piccola frattura nella vita di un adolescente può arrivare ad essere un danno irreparabile”.
«Lo hanno scelto loro, hanno collaborato alla riduzione e hanno pure scritto le musiche. Il più vecchio ha 22 anni, i più giovani stanno per dare l’esame di maturità».

A Stefano avete anche affidato la regia de “In nome del pa­dre”, lo spettacolo dal testo di Luigi Lunari con Cristina e Pinuccio nei panni di Rose­mary Kennedy e Aldo Togliatti, con cui avete vinto la Ma­schera d’oro, un premio nazionale di un certo prestigio che vi permetterà di essere in scena in un tempio della prosa, uno dei teatri più belli al mondo, come l’Olimpico di Vi­cenza.
«Il 20 maggio. Siamo molto emozionati. Sarà la nostra 76esima replica. Lo spettacolo è nato proprio a Vicenza: avevamo presentato “Piccoli crimini coniugali”, il festival era diretto da Lunari che subito dopo ci contattò per proporci il suo testo».

Ve lo aspettavate?
«Ma quando mai! Un mattino mi squilla il telefono e… “Parlo con Bellone? Sono Lunari”. Io rispondo, basito: “Maestro, mi dica”».

E lui?
«“Se mi dai del lei e mi chiami Maestro, attacco e ti mando a stendere”. Poi ci ha invitati a pranzo».

Che è sempre un bell’inizio. Il testo fa incontrare due creature bastonate dalla vita che nella realtà non si sono mai conosciute: la figlia di Joseph P. Kennedy, sorella di John e Robert, lobotomizzata a 23 anni e vissuta fino a 86 anni e Aldo Togliatti, figlio di Pal­miro e Rita Montagnana, probabilmente affetto da sindrome di Asperger, finito in un ospedale psichiatrico sotto falso nome. Voi e loro: cosa vi siete detti?
«Diciamo che i due hanno subito un ulteriore tracollo: il nostro innamoramento nei loro confronti. Nella loro storia ritroviamo anche noi stessi, la difesa del padre, a volte indifendibile. Due personalità complesse, sopite da una grande solitudine».

Cosa vi disse Lunari dopo avere assistito alla prima?
«Ci suggerì di eliminare un po’ di fronzoli inutili».

E voi?
«Eseguimmo. Ne fu contento e ci disse “ricordatevi che l’Arca di Noè è stata fatta da un dilettante e il Titanic da professionisti”».

Un bell’imprimatur. Il prossimo progetto?
«“Il sorriso di Daphne” di Vittorio Franceschi, noi due con Virginia Risso».

 

Articolo a cura di Alessandra Bernocco