Carolyn Smith oltre “Ballando” «DONNA SEMPRE»

Giudice dello show televisivo e protagonista contro il cancro: «Dance for Oncology serve a riprendere il controllo del corpo e della vita»

0
3

Il pubblico televisivo del sabato sera, quello che la conosce bene per quel programma mainstream che è “Ballando con le Stelle”, provi a chiudere gli occhi e a cercare nella mente l’immagine più prossima di Carolyn Smith. Una o due immagini. Io me la vedo seduta al tavolo, garbatissima presidente di giuria capace di mediare tra giurati implacabili e danzatori allo stremo, ora con uno scenografico copricapo coloratissimo che pare un giardino o una nidiata di volatili dalle piume luccicanti, ora sfrontatamente calva, coraggiosissima nel rivendicare il diritto di esserci e lavorare comunque, senza nascondere la fragilità di un brutto momento. Lei, col suo viso disteso dai lineamenti delicati, il suo sorriso rassicurante e quieto, il pollice verso in segno di ok, siamo in dirittura di arrivo. Una per tutte. Per tutte le donne che hanno dovuto sottoporsi a cicli dolorosi di chemioterapia.

Per loro, ma non solo per loro, ha messo a punto un progetto pilota, “Dance for Oncology” (D4O), inserito nel più ampio progetto “Sensual Dance Fit”, che presenterà all’interno della 17a edizione di Danza in Fiera, da domani 24 febbraio fino a domenica 26 a Firenze, alla Fortezza da Basso.

Com’è nato questo progetto?
«Quando mi sono ammalata, durante i trattamenti, ho perso il 95% del lavoro. Solo Milly Carlucci mi ha voluta comunque a “Ballando con le Stelle” e ho avuto modo di parlare della malattia, senza considerarla un tabù. “D4O” è nato da una mia personale esigenza, il bisogno di muovermi nonostante il mio corpo non rispondesse più come prima ai comandi del cervello, che invece continuava a funzionare benissimo. Allora ho elaborato un metodo semplice e soft, che utilizza una sedia e uno specchio, la prima per comodità, perché non ce la facevo a reggermi in piedi, il secondo per controllare quello che stavo facendo. I benefici sono stati tangibili, non solo a livello fisico, ma anche emotivo e psicologico, e di qui l’idea di condividerlo con i pazienti oncologici, non solo donne, e di farlo in modo totalmente gratuito, perché non mi piace lucrare sulla sofferenza altrui».

Infatti è anche sostenitrice dell’Airc e ha raccontato la sua storia nel libro “Ho ballato con uno sconosciuto” (HarperCollins) dove il cancro viene chiamato l’intruso.
«Sì, per me l’intruso è stata la malattia ma lo è qualunque cosa interferisca con la nostra serenità. Un lavoro stressante, relazioni critiche, difficoltà economiche».

Infatti questo metodo, nato per contrastare le ripercussioni della malattia, si è poi evoluto nella “Sensual Dance Fit”. Esattamente di cosa si tratta?
«È un programma per sole donne nato dal mio bisogno di ritrovare la coordinazione e la grazia dei movimenti e concepito per aiutare le altre donne a ritrovare la propria sensualità e femminilità attraverso semplici passi di ballo e movimenti di fitness, come camminare, come sedersi, come incrociare le gambe. La danza non è solo agonismo e una postura più elegante è già un modo per affrontare il mondo con una migliore attitudine, e aumentare la propria autostima».

Mi incuriosisce la “Marilyn Monroe position”.
«Si parte a gambe unite e poi si piega leggermente il ginocchio sull’altra gamba e… l’ideale è provarci».

Che riscontro ha avuto?
«Consideri che abbiamo incominciato nel 2017 con cinque scuole e piccoli gruppi di allieve e ora abbiamo superato le 150 per diecimila allieve. A Roma ci sono dodici sedi ma arriviamo anche nei piccoli centri. Le insegnanti poi sono le prime a sperimentare il cambiamento».

Non è la prima volta che partecipa a “Danza in Fiera”: che impressione conserva di questa manifestazione?
«Un’impressione bellissima. Vedere tante discipline di danza sotto lo stesso tetto mi riempie il cuore di gioia».

Cosa suggerirebbe a un giovane talento che si avvicina alla danza?
«Qualsiasi ballerino dev’essere in grado di ballare un po’ di tutto, poi si specializza in un genere. Ma è la danza che te lo indica, è la danza che sceglie te».

Veniamo alla sua esperienza di giurata, anzi di presidente dei giurati, tutti chiamati a giudicare danzatori non professionisti. Come cambiano i parametri?
«Un incubo! Ogni anno li modifico un po’. All’inizio, nel 2007, consideravo questi vip proprio come allievi ed ero più severa. Inoltre le coreografie erano molto tradizionali quindi era anche più facile dare giudizi tecnici e consigli sulla postura, il ritmo. Ultimamente il format è cambiato e io sono entrata in crisi. Tutti i partecipanti devono confrontarsi con generi diversi ma le coreografie sono sempre più free style, loro non sono professionisti e in tre mesi devono imparare dodici balli diversi».

E quindi meritano clemenza? È per questo che è di manica larga?
«Io cerco di compensare le critiche che arrivano da chi non ha mai ballato e non capisce lo sforzo. Cerco di addolcire la situazione non buttando benzina sul fuoco perché so che stanno sputando sangue. Fanno cose che i professionisti fanno dopo anni di tecnica».

Non sarebbe il caso di far fare una prova anche ai giurati?
«Quanto mi piacerebbe!»

Ho notato che parla spesso di sorellanza: un’espressione di eco femminista mai abbastanza praticata.
«Sono innamorata della sorellanza, quella dei fatti, non solo delle parole. La sorellanza che produce risultati. Per questo mi piace pensare alle nostre allieve come a donne felici e realizzate. Donne che credono nella sorellanza e, per esteso, nella solidarietà».

E per loro si è anche inventata una linea di abbigliamento, “I am a woman first”.
«Una linea inaugurata con un capo molto speciale, inclusivo, dedicato a tutte le donne, senza distinzione. Una maximaglia realizzata in un’unica taglia ma adattabile sia a una ragazzina sia a una donna anziana, magra o prosperosa, perché si può annodare in dieci modi e personalizzare una volta indossata. Più che un capo di abbigliamento è proprio uno stile di vita per andare oltre le categorie e i giudizi sul corpo femminile. E siccome molte donne provano ancora imbarazzo a dichiarare una taglia non proprio standard, ho voluto che sull’etichetta interna ci fosse scritto solo “la mia taglia/my size”».

A cura di Alessandra Bernocco