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«Canzoni a teatro il mio percorso da Gaber a Conte»

Andrea Mirò, compagna di Enrico Ruggeri: «Ecco quando ho capito perché mi piace stare sul palco»

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Avete presente quell­a canzone di Paolo Conte che parla di «un’orchestra eccitata e ninfomane chiusa nel golfo mistico che ribolle di tempesta e libertà»? Bene. Andrea la ascoltava mentre innaffiava le piante del suo terrazzo nel paesello dell’Astigia­no, sulle rive del Tanaro, dove è nata e cresciuta prima di trasferirsi a Milano. “Il Maestro” è il titolo del brano in questione, e l’avvocato cantautore, che dimorava a due passi da lì, lo stava provando ancora prima di inciderlo, incoraggiato, non disturbato, dai commenti che gli riservava. Lei è Andrea Mirò, al secolo Roberta Mo­gliotti, ormai cantautrice di lungo corso e di largo raggio ma che allora aveva da poco esordito nel panorama musicale italiano. Con successo e guardando ai suoi fari di sempre, che l’accompagnano tuttora. Non solo Conte, ma Fran­cesco Guccini, Giorgio Gaber, Franco Battiato e poi i Beatles, i soli appesi alla parete della sua stanza di adolescente. «Non ho mai avuto il poster di nessuno, a parte il loro. I Beatles hanno rivoluzionato la musica di un’epoca, sia dal punto di vista del costume e del rilievo sociale sia perché rappresentano il massimo connubio di pop rock folk e psichedelia».

Allora partiamo da “La ballata di John e Yoko”, un pezzo di storia dei Beatles che dà il titolo a un suo lavoro recente.
«Uno spettacolo scritto e narrato da Enzo Guaitamacchi che racconta la storia di John e Yoko dalle origini alla fine, tragica, attraverso aneddoti, im­magini e musica. Io do voce a Yoko e con me si sono alternati Omar Pedrini e Cristiano Go­dano nei panni di John. Nonostante la pandemia siamo riusciti a portarlo in scena più volte tra i due lockdown».

Oltre a dar voce a Yoko in scena suona chitarra, pianoforte e violino, il suo strumento di elezione. Quanto pesa la formazione classica nel suo percorso?
«Mi ha dato la possibilità di conoscere i codici per muovermi in un ambito più ampio, compresa la direzione d’orchestra».

Ecco, ha diretto più volte l’orchestra al Festival di San­remo: è stato difficile come donna essere riconosciuta in un ruolo che è spesso appannaggio maschile?
«È la solita condizione che da sempre pesa sulle donne. Una donna che esercita la stessa funzione di un uomo, deve sempre dimostrare qualcosa di più, deve superare un’asticella per conquistarsi la giusta autorevolezza, nel mio caso per stare sul podio. Ma questo è un lavoro dove non puoi nasconderti, non puoi far finta e quello che sei o non sei in grado di fare viene fuori. Quando nel 2002 ho diretto “Primavera a Sarajevo”, mi è capitato di fare cambiamenti importanti in fase di prove e di dovere dare indicazioni estemporanee all’ultimo momento: una cosa che puoi fare solo se sei in grado. In quel momento qualsiasi dubbio cade e la fiducia diventa totale».

“Primavera a Sarajevo” è un brano presentato da Enrico Ruggeri, il suo compagno, di cui è coautrice. Com’è il vo­stro rapporto?
«Riservato e autonomo, fatto di grande rispetto perché conosciamo bene le potenzialità e le lacune di entrambi e i suggerimenti reciproci sono sempre sinceri e funzionali a un risultato, come deve essere il rapporto tra collaboratori in genere, che non si perdono in complimenti».

L’anno successivo, il 2003, avete cantato insieme “Nes­su­no tocchi Caino”, un brano meraviglioso ma molto poco sanremese che però si classificò al quarto posto.
«Quel pezzo non fu scritto per Sanremo e infatti fu un azzardo ma Sanremo non è mai stato soltanto canzonette, che han­no comunque la loro dignità, e a volte lascia a bocca aperta. In quel caso ci fu una fortunata combinazione di eventi, Pippo Baudo, che ha una solida preparazione musicale, lo sentì e se ne innamorò».

Un brano che non poteva non confluire in “Camere con vi­sta”, il doppio cd uscito re­centemente che è una sum­ma del suo percorso attraverso trentotto brani. Con quale criterio li ha selezionati?
«Il primo criterio è stato temporale: dal 2000, momento in cui mi sono presentata come cantante, fino a oggi. Alcune canzoni sono in versione live, altre orchestrali e registrate in studio. Solo “Notte di Praga” e “La canzone del perdono” sono precedenti al 2000 ma la versione inserita è quella di un live realizzato al Qube di Roma nel 2002. Ho voluto che ci fosse un’eterogeneità di base perché non puoi presupporre che il pubblico ti conosca. A me interessava capire quanta strada avevo fatto ma anche far­mi conoscere dal pubblico più giovane e da chi mi ha scoperta attraverso il teatro».

Il teatro, dunque. C’è una canzone, “Opinioni di un clown”, chiaramente ispirata al ro­manzo di Heinrich Böll, in cui la componente recitativa è molto evidente anche attraverso la presenza di una risata ricorrente.
«Uno dei miei libri preferiti, infatti ha ispirato questo pezzo espressionista, che però non è l’unico con questa caratteristica, ma a me interessa perché traghetta verso il teatro. La risata nel brano è una vena che mi appartiene, mi è consona, anche se l’espressionismo in Italia non è una via molto battuta. Anche “Il conformista” di Giorgio Gaber, la trattò in questo modo».

Gaber è come dire il teatro canzone: grandi temi in musica.
«Infatti, Gaber è il teatro canzone, ma anche Guccini ha una scrittura altissima, e Battiato e di nuovo Paolo Conte. Sono autori che riguardo ai temi trattati intercettano la parte più popolare, nel senso di condivisibile, ma senza mai perdere il loro peso specifico. Hanno la capacità di affrontare tematiche pesantissime con leggerezza, quella leggerezza che non è semplificazione ma un punto di arrivo. Come il lavoro dello scultore che per arrivare all’opera finita, toglie l’eccedenza. Chiaramente, bisogna saperlo fare».

La linea espressionista l’ha condotta fino a Brecht con “Un Salto In Cielo – Brecht Suite”, diretto da Emilio Russo, in cui si è rinnovata la collaborazione con Lucia Vasini, incominciata con “Talkin’Guccini”.
«Uno spettacolo impegnativo, quello su Brecht, con un cast importante e un repertorio meraviglioso, che purtroppo non si è potuto ripetere. Lucia per me è stata una maestra, un’attrice con una grande esperienza, anche dal punto di vista dell’improvvisazione in scena. In “Talkin’Guccini” ci siamo divertite da morire. Io non ho fatto una scuola di recitazione e bevevo tutto quello che faceva».

Le ha chiesto dei suggerimenti?
«Sì, le ho proprio detto “insegnami”, ma lei mi ha risposto “C’è gente che per arrivare alla tua naturalezza ci mette una vita. Tu sei vera”. Lì ho capito quanto mi piaceva stare sul palco».

BaNNER
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