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«Racconto Battiato nel mio spettacolo così non litigo in tv»

Appuntamento al Colosseo di Torino per il giornalista che è anche drammaturgo: «Ho cominciato nel 2011 con Gaber e non mi sono più fermato. Vengo sempre nelle Langhe perché amo Fenoglio, dai tempi dell’Università. Il quadro politico attuale? Non mi ispira»

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Chi è abituato a vedere Andrea Scan­zi impegnato in una del­le tante dispute politiche, nei salotti televisivi in prima serata, forse non sa che c’è un’altra dimensione mediatica che – come lui stesso sottolinea – lo rappresenta meglio. È quella teatrale. «Dal 2011 è un’attività per me stabile, non certo secondaria rispetto a quella televisiva o giornalistica, anzi è quella che mi diverte di più».

Qual è stata la sua prima opera teatrale?
«Lo spettacolo su Gaber, ap­punto nel 2011. Lo faccio ancora, è uscito anche il libro. Negli anni di spettacoli ne ho realizzati tanti, soprattutto musicali: De Andrè, Graziani, Pink Floyd, Bennato e ora Battia­to. Questa attività mi permette di raccontare cose che magari hanno poco spazio in tv dove mi chiedono altro. In teatro sono più libero e posso parlare di questioni che mi piacciono più della politica».

Quindi il teatro le piace più del giornalismo scritto?
«Difficile rispondere. Più invecchio (vado verso i 50) e più fatico a viaggiare, se dieci anni fa facevo 100 date all’anno, adesso devo centellinare gli impegni. Però quando sono sul palco davanti al pubblico, solo o con la band, con il mio musicista, quella cosa lì è una delle cose che preferisco. Quelli convinti di conoscermi perché mi vedono litigare in tv, conoscono molto poco Andrea Scanzi. Poi stanno bene lo stesso, eh. Ma sullo schermo c’è il 20 per cento di come sono io, a teatro molto di più».

È bello anche approfondire la dimensione umana dei personaggi?
«Lo puoi fare nei libri, infatti per Battiato e Gaber è accaduto. Lo fai in 250 pagine oppure in due ore di spettacolo, certo non in 30 secondi televisivi. La narrazione delle biografie funziona, specie se alternata tra un narrato appassionato e partecipe ed esibizioni dal vivo. In più conta la presenza dell’artista, Battiato non c’è più, ma appare su un maxischermo».

Difficile raccontare un personaggio come Battiato.
«Difficile ma per questo molto stimolante. In due ore non puoi dire tutto, ma puoi fare in modo che lo spettatore riscopra certi aspetti ritenuti secondari. Per esempio, guai a pensare che Battiato sia solo quello del “Centro di gravità permanente”: sì, è più conosciuto così, ma lo è diventato per gli anni ’70 e la sperimentazione, poi è stato l’artista mistico di “Povera patria” e “Caffè de la paix”, poi l’interprete di cover. Ha avuto mille vite, non puoi non raccontare l’aspetto metafisico, la meditazione. Uno scrigno infinito: è stato anche regista e pittore. Diciamo che chi vede “E ti vengo a cercare” trova Bat­tiato. Molto spesso i grandi artisti sono popolari per il nome e per due o tre canzoni. La gente cre­de che Battiato sia “La cura” o “Bandiera bian­­ca”, mentre è mol­to altro. Stessa cosa con Gaber, che qualcuno co­nosce come quello di “De­stra-sinistra” ma ha creato centinaia di capolavori».

Andrea Scanzi:
«A teatro sono me stesso e parlo di ciò che mi piace»

Cosa apprezza di più in Bat­tiato?
«La sua libertà, il co­raggio. È stato un ri­voluzionario in servizio permanente: non si è mai adeguato al successo, ha anticipato tempi e mode tra contenuti alti e apparentemente bassi. Anche in canzoni come “Cen­tro di gravità permanente” c’è una ricchezza filosofica impressionante. Po­chi cantautori han­no saputo farlo. Lui che odiava il pop, ha trasformato quel genere a sua immagine, lo ha plasmato e modificato. Si è sempre messo in gioco e questo mi piace molto. Io detesto chi non rischia mai, lui ha sempre rischiato».

Ha anche la­sciato mes­saggi politici.
«C’è pure quell’aspetto, ritengo imbecille chi ritiene Bat­tiato un qualunquista, un disimpegnato. Chi lo dice non sa di cosa parla. Lui aveva firmato testi impegnati già negli anni ’80, come “Radio Var­savia” e anche una certa “Po­vera patria”, una delle invettive più belle mai scritte. Tra il 2000 e il 2010 si è schierato frontalmente quando non è che convenisse tanto schierarsi. Quando c’era da mettere la faccia contro Berlusconi lo ha fatto, scrivendo “Inneres Auge”. Battiato è stato anche assessore alla cultura della Regione Sicilia, con scarsi risultati e lo dico come complimento perché non poteva fare il politico. Era un uomo libero che quando si è trattato di sporcarsi le mani, lo ha fatto anche con la politica. Ma tutte le persone intelligenti rimangono deluse dalla politica politicante».

Lei ha anche una grande passione per Beppe Fenoglio.
«Le Langhe sono la mia seconda casa. E non lo dico per piaggeria, ci sono le prove. Ogni anno vengo ad Alba dal ’97, quando all’Università il professor Roberto Bigazzi fece innamorare di Fenoglio me e i miei amici. A tal punto che avrei dovuto laurearmi con una tesi su Fenoglio. Conobbi Marisa, la sorella di Beppe, poi la figlia Marghe­rita. Ma nel gennaio ’99 morì De André e contemporaneamente l’amicizia che mi legava a Gaber mi spinse a puntare sui cantautori. L’ultima volta sono stato ad Alba due mesi fa. E resto orgoglioso di essere stato “padrino” della Maratona fenogliana nel 2015, una meraviglia. Parlai con Gianmaria Testa, ancora in vita, e con la moglie Paola Farinetti. Quando pos­so, vado da Beppe e gli porto un pacchetto di sigarette, un libro, qualcosa. E passo da Mombarcaro, ad Altavilla, i luo­ghi del “Partigiano Joh­n­ny” o di “Una questione privata”, che è tra i libri più belli nella storia della letteratura».

E con Torino che rapporto ha?
«Un rapporto datato perché ho lavorato a La Stampa dal 2005 al 2011, prima con Anselmi direttore poi con Calabresi che mi faceva scrivere di moto al seguito di Valentino Rossi finché al terzo anno non ne potevo più e scelsi Il Fatto Quotidiano. Torino mi piace, una città che a teatro mi vuole bene visto che anche per sabato mi dicono che il Colosseo sarà pieno. Una città protettiva, dove mi sento a casa, di un’eleganza austera che mi affascina».

E a proposito del quadro politico?
«Non mi ispira, non mi appassiona. Chi guarda al governo da sinistra, è stanco più che arrabbiato. C’è disillusione e rabbia trattenuta, anche per me che osservo e faccio satira, con libri e spettacoli, diventa improbabile. Non c’è una chiave per dire: ecco l’opposizione. Ma su questa “pace terrificante” come canta De Andrè, prolifera il centrodestra che sta al governo».