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Bruno Ceretto: «Felicità fa rima con generosità»

L’imprenditore vitivinicolo albese ha compiuto 85 anni: «L’unica cosa che conta per me è il profitto sociale, ovvero reinvestire i guadagni per creare nuovi posti di lavoro. Michele Ferrero è stato un esempio straordinario»

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La felicità che sprigiona il neo ottantacinquenne Bruno Ce­retto va ben oltre il risultato anagrafico da poco raggiunto e i numeri – estremamente positivi – delle aziende della sua famiglia. Ci sono ragioni più profonde, più intime. Le indaghiamo.

Ceretto, qual è il segreto della felicità? Lo ha scoperto?
«Credo proprio di sì: la generosità. Il gesto generoso, compiuto spontaneamente, con l’unico scopo di fare del bene agli altri, è ciò che oggi mi porta a essere felice. Ecco, già pensando a queste cose sono molto felice…».

Una volta non era così?
«Le faccio un esempio pratico: per tantissimo tempo ho frequentato quasi esclusivamente un bar “famoso” di Alba. Mi ci portava già mio padre. Poi ho deciso di provarne uno meno noto, perché più periferico e, da allora, non l’ho più lasciato. Lì incontro chi “esce” dal turno notturno della Ferrero, carpentieri, operai, badanti, qualche impiegato… Da qualche tempo, passano da quelle parti per colazione pure il presidente Cirio e importanti dirigenti della zona… Non siamo diventati dei socialisti (ri­de, nda), ma desideriamo conoscere quelli che sono i veri problemi della gente. Sa, solo ascoltando i figli dei ricchi non si va molto lontano…».

Come declina questa filosofia in ambito lavorativo?

«Io e la mia famiglia ci poniamo sempre come obiettivo il profitto sociale, ovvero rein­ve­stiamo i ricavi per creare lavoro».

Ci siete riusciti.
«All’inizio eravamo in quattro; oggi, considerando tutte le no­stre aziende, comprese quelle legate ai prodotti corilicoli e alla ristorazione, superiamo quota 180. E il prossimo anno ci sarà qualcuno in più…».

Proseguono gli investimenti?
«Anche quest’anno, con i guadagni, abbiamo acquistato nuovi terreni e crediamo che il relativo lavoro in vigna e in cantina, oltre che le attività commerciali e di contabilità connesse, possa dare un’occupazione ad almeno quattro nuove persone…».

Che profilo occorre per fare impresa nell’ambito dell’enologia e della ristorazione?

«Invito i giovani a porsi degli obiettivi, anche ambiziosi, e a prepararsi a so­stenere rinunce e sacrifici. Tutto ciò senza mai perdere di vista l’organizzazione».

Non la facevamo così schematico…
«Un’organizzazione efficace è quella che ti permette di regalarti qualche momento di ri­poso pur mantenendo l’attività aperta il sabato, la domenica e, in generale, nei momenti più vocati al turismo».

Lo dice con una certa determinazione.
«Un episodio: alcune estati fa, tornai in azienda per sbrigare una pratica e mi imbattei in una coppia di americani che se ne stavano andando sconsolati perché erano arrivati poco oltre l’orario di chiusura, allora fissato alle 18, e non erano riusciti a visitare le nostre cantine. Mi proposi di accompagnarli e, dopo la visita, li portai anche a cena: avevo intuito che erano persone particolarmente brillanti, mai però avrei potuto immaginare che lui fosse addirittura il socio di Bill Gates…».

La morale?

«Solo credendo nel proprio la­voro, restando fedeli ai propri valori cardine e sviluppando so­lidi rapporti con i collaboratori si può incontrare il successo».

Quali sono i valori che vi guidano, oltre al profitto sociale?
«Lavoro, serietà, impegno, innovazione, tempismo sui mercati e valorizzazione del territorio. Perché solo facendo conoscere e, di conseguenza, crescere il territorio possono acquisire di valore i prodotti che lo caratterizzano».

Parla spesso al plurale.
«Certo, con me c’è sempre stata la mia famiglia, a partire da mio fratello Mar­cel­lo, un uomo straordinario, molto più bravo di me».

In che modo lei ha iniziato a occuparsi dell’azienda?
«Viaggiavo all’estero per raccontare il territorio. Provavo a spiegare perché i prodotti langaroli avessero un valore aggiunto, legato alla passione delle persone che li producevano».

È stato convincente.

«In America, negli anni Settanta, nessuno si filava il vino delle Langhe. Non sapevano nemmeno dove fosse Alba. Per localizzarla, dicevo che si trovava a metà tra due città molto care agli americani: Montecarlo e Venezia».

Poi le cose sono cambiate.
«Noi vignaioli siamo migliorati, ci siamo aggiornati, abbiamo cercato di formare i nostri figli, ci siamo fatti conoscere, abbiamo creato relazioni. E così sono nati vini di assoluto livello, che hanno saputo ottenere consensi a livello internazionale. Per quanto concerne i bianchi c’è ancora molta strada da fare, mentre Barolo e Barbaresco so­no già decisamente al pari dei grandi vini francesi».

Qual è il valore aggiunto dei nostri vini?

«Lo “spirito delle Langhe”».

E come lo si può descrivere?
«È la filosofia vincente che ha diffuso Michele Ferrero. Una filosofia che spinge ciascuno a dare sempre qualcosa in più, a migliorarsi continuamente e a redistribuire la ricchezza prodotta a favore della crescita dell’intero territorio».

Parla del signor Michele con un affetto particolare…

«Il giorno del mio matrimonio, al pranzo che organizzammo nell’allora Ristorante Ferrero di Torino, lo incontrai e mi regalò un consiglio che mi ha guidato per tutta la vita: “Fai scorta di crediti e non chiedere mai niente a nessuno”. Una persona di grande ispirazione per me, come lo è stato Gianluigi Gabetti, storico consigliere del­l’Avvocato Agnelli».

Esiste ancora lo “spirito delle Langhe”?

«Sì. Per le nostre terre intravedo un bel futuro, a patto però che si torni a essere umili e “capaci”. In questo senso, la chiave sarà educare i giovani al sacrificio e alla voglia di mettersi in gioco».

Come vede invece il futuro delle vostre aziende?

«Io, nato con niente, sono legato affettivamente alle nostre proprietà. Guardando al futuro non posso che essere sereno. Lo scorso anno abbiamo ottenuto risultati straordinari. E il merito principale è dei miei figli, Roberta e Fe­derico, e dei figli di mio fratello Marcello, Alessandro e Lisa. E poi ci sono pure tanti nipotini… Senta… Aggiunga anche questo tra i segreti della felicità!».

BaNNER
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