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La merceria dove il tempo si è fermato

Nello storico negozio di Anna Maria Boffa, nel cuore di Alba, si respira un’atmosfera unica

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Ad Alba, in via Pie­trino Belli, a due passi da via Mae­stra, c’è un posto che riporta indietro negli an­ni. Dove sopravvivono termini come fettuccia, il “gro” oppure il “crochèt” e si discute per lunghi minuti su quale sia meglio per bordare un telo da ricamare a punto croce. Posti in cui trovare fili da ricamo, da mezzo punto, da cucire tra mille. E poi lana, aghi da balia, “poussoir”. La signora Anna Maria Boffa, da dietro al bancone, ha visto il centro città cambiare per adeguarsi alle modifiche della viabilità, negozi chiudere e il nuovo affacciarsi senza timidezza. I tanti anni di esperienza non hanno spento l’entusiasmo con cui si rivolge alle clienti che, pri­ma di chiedere un prodotto, le raccontano il progetto. Mentre parliamo la porta si apre senza sosta. Chi racconta del ricamo per un battesimo, chi cerca un filo di cuoio per la sua macchina da cucire vecchia cento anni, chi ha bisogno di un bottoncino rivestito di un tessuto vinaccia. Anna Maria ascolta, apre scatole, mostra piccolissimi dettagli. E sorride. «È passato tanto tempo, però mi diverto sempre».

Anna Maria, ci racconta quan­do ha cominciato?

«Nel 1948 mio zio aprì qui un negozio di macchine da cucire e io ricamavo da casa per lui, nel 1960 sono subentrata con una zia e poi ho continuato da sola, introducendo cotoni, lana, bottoni e tutta la parte di merceria. All’inizio avevo un piccolo spazio, pia­no piano ho comprato quello che era il laboratorio della pasticceria all’angolo e, infine, l’alloggio qua sopra».

Lei è una delle memorie storiche del cen­tro cittadino: co­me è cam­­biata Alba?
«Totalmente: pensi che, quando ho iniziato, in via Maestra le auto viaggiavano ancora a doppio senso. Ricordo un negozio di tappi di sughero, lì, a destra. Le clienti anziane scendevano dall’auto proprio qui davanti o, mentre lasciavano un parente all’ospedale per una visita, facevano una scappata da me. Ora, con le zone pedonali e il nuovo ospedale, non succede più».

E i clienti di oggi? Anche loro sono diversi?
«Nei decenni scorsi avevamo tutti più tempo. All’inizio, le signore che compravano una macchina da cucire avevano diritto a un piccolo corso di ri­camo che tenevo qua in negozio tra un cliente e l’altro. Mentre lavoravano mi raccontavano la loro vita, si parlava. Servivo le sarte vere che sapevano cucire un vestito da sposa o “girare” un cappotto da uomo in uno elegante da donna, venivano da tutta la Langa il giorno del mercato. Avevamo tutti più pazienza, mi sembra. Si insegnava alle bambine a ricamare, a fare la maglia, a rammendare. Oggi sono felice quando una non­na viene ancora a scegliere con la nipotina un quadretto a mezzo punto».

Oltre alle nonne chi sono le sue clienti?

«Donne di ogni età e anche giovani ragazze che si sono appassionate alla maglia du­rante il lockdown».

In un posto così centrale ve­drà anche molti turisti…

«Sì. Cercano bottoni, filo e ago per un rammendo veloce, lana. Spesso entrano per comprare i canovacci con stampati l’Italia e il Piemonte che esponiamo in vetrina in autunno; dopo il periodo di pausa dovuto alle restrizioni, ora sono tornati».

Questi due anni di chiusure come hanno influenzato il vostro lavoro?

«In un primo tempo la permanenza forzata a casa ha stimolato in molti la creatività e ab­biamo avuto una grande ri­chiesta di materiale vario. Quest’anno notiamo un calo, dovuto al ritorno alla normalità ma anche alla situazione economica certamente non facile. Alcuni preferiscono acquistare le macchine da cucire più economiche nei grandi magazzini o su In­ternet, però spesso poi arrivano da noi per farsi aiutare perché si bloccano. Noi li aiutiamo volentieri, spesso si è solo incastrato il filo!».

Molti cambiamenti, che cosa è rimasto uguale?

«Alcuni attrezzi che usiamo hanno cento anni, come il tornio per rivestire di tessuto i bottoni. Si inserisce il tessuto, poi il bottone, si gira una manovella e voilà, esce il prodotto finito. Un bottone non in tinta può rovinare un abito di ottima fattura, come uno perfetto può invece valorizzare un vestito semplice. Que­sto vale sia per un abito da sposa sia per un golfino fatto a mano; quando non se ne tro­va uno adatto, lo creiamo in­sieme alla cliente».

In una delle recensioni entusiaste su Internet si legge “qua troverete tutto”. Ci dica la verità, capita che le chiedano cose che non ha?

«Eccome! Nonostante i mille bordi che vede esposti, può succedere che la cliente ne voglia uno “con un filo di oro, con un qualche animaletto, con un altro punto di verde”. Allora, se posso, lo mando a prendere, oppure vado nel ma­gazzino e mi porto dietro le richieste e cerco esattamente quello che la mia cliente desidera».

La relazione è quindi un re­quisito fondamentale nel suo lavoro. In questo senso, il mon­do del web non dovrebbe essere un concorrente, è così?
«Amazon, come comodità, è imbattibile. Da noi, però, le nostre clienti si portano a casa tutta la nostra esperienza, i consigli e l’assistenza sempre presente. In questo, ci sentiamo sicuri che difficilmente potremo essere sostituiti da una tastiera…».

La soddisfazione più grande?
«Quando le clienti tornano a mostrarmi le fotografie dei bellissimi lavori finiti: vestiti, tende, copertine arricchiti dai dettagli che abbiamo scelto insieme, magari rivoltando mezzo negozio per trovare il punto di colore giusto. Lì ca­pisco che valeva la pena cercare tanto».

E nel futuro cosa vede?

«Andiamo avanti, piano pia­no, come sempre. Io resto finché posso, insieme a me adesso ci sono mio figlio Max e sua moglie Apple, che mi aiutano. A volte mi sento un po’ anziana, ma questo lavoro è ancora la mia vita».

Mentre parliamo un venditore ambulante mostra al figlio la cerniera della giacca: è rotta. Discutono un po’ se sia me­glio riparare o mettere un ago da balia. Alle fine, decidono per ago e filo. A tutti qui interessa davvero il progetto da realizzare prima che il prodotto da vendere. Anna Maria sorride, inquadrata da una pa­rete intera di fili per ricamo e mezzo punto, lana, fettucce e bordini, che formano un ca­lei­doscopio. Poi la porta si apre ancora…

BaNNER
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