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De sio e Danieli duo irresistibile al nord come al sud

Le due attrici napoletane stanno portando in scena con successo lo spettacolo “Signorine”

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La genesi. “Signo­ri­ne”, spettacolo ri­pre­so con grande suc­cesso dopo la pausa forzata, nasce da un testo precedente di Gianni Clementi, “Sugo finto”, rielaborato e ricalibrato per volontà di Giuliana De Sio che ha voluto accanto a sé Isa Da­nieli. Un duo irresistibile che si corrobora a vicenda, nel corso di quasi due ore fitte di azioni e colpi di scena. La regia è stata affidata a Pierpaolo Sepe che è intervenuto inventando per e insieme alle attrici, surreali e oniriche incursioni e digressioni, costruendo per entrambe un arco emotivo ampiamente cavalcato.

Entrambe napoletane, en­trambe operative tra teatro, cinema e televisione, entrambe capaci di stabilire col pubblico un accordo genuino che si mantiene nel tempo, en­trambe frequentatrici del mi­glior repertorio di drammaturgia contemporanea, anche dialettale. Ed è così che “Sugo finto”, da testo scritto in romanesco, diventa “Signo­rine”, una perfetta commedia napoletana, tarata su corde precise dell’una e dell’altra, tanto da sembrare scritta su commissione.

Signora De Sio, come la mettete col napoletano stretto nel nord Italia?
«Abbiamo creato due versioni, una più “strong” che portiamo in “zona Gomorra”, come ab­biamo preso a chiamarla, e una più accessibile che portiamo al­trove. E comunque al nord im­pazziscono, anzi, ri­scuo­tia­mo più successo al nord che al sud».

Qual è secondo lei la difficoltà di questa commedia?
«Il livello di difficoltà è pari a dieci. Bisogna mantenere una certa leggerezza facendo aleggiare un’aria di disperazione e tragedia. Ho voluto che due per­sonaggi nati buffi, acquistassero una dimensione tragica e la commedia stessa dei to­ni neri. Sono due claudicanti nel corpo e nell’anima, due in­sicure unite da un rapporto disfunzionale in cui una, la mia Addolorata, è una bambina non cresciuta che ha sempre vissuto in sudditanza della sorella maggiore, una specie di madre avara e scorbutica».

Trapela in Addolorata un isterismo compresso che poi deflagra per ricomporsi solo alla fine.
«L’isterismo che volge al grottesco è voluto. È un personaggio per cui ho provato subito empatia, compassione e quando mi succede, quando provo per i personaggi sentimenti così forti, vuol dire che è ora di entrarci dentro. E Addolorata non è mai uguale a se stessa, ogni replica è diversa, mi sono affinata persino nel movimento del corpo e ogni sera cerco una freschezza nuova».

Con Isa Danieli avete realizzato una coppia perfetta

«Sì, l’ho proprio voluta e insieme abbiamo anche lavorato alla versione dialettale. Sono fiera di questo spettacolo e di questa scelta. A volte mi fisso su una cosa i cui sviluppi vedo solo io ma poi il tempo mi dà ragione».

In comune avete tra l’altro l’aver interpretato testi di Annibale Ruccello, drammaturgo troppo presto scomparso, le cui suggestioni si leggono tra le righe di questa vostra rivisitazione, tra sogni, incubi, allucinazioni.

«Sì, infatti abbiamo “ruccellizzato” il testo. Quando ho portato in teatro “Notturno di donna con ospiti” la prima volta, nel 1983, Ruccello era ancora poco conosciuto, i teatri istituzionali glieli ho aperti io. Ha lasciato pagine geniali e avrebbe potuto dare tanto al teatro. L’Adriana di “Nottur­no” ha una parabola molto simile a quella di Addolorata, anche lei una disperata, una sfigata. Le sfigate mi fanno impazzire. Donne vittime e inconsapevoli della propria infelicità».

O donne indifese, vittime di lo­ro stesse e della loro ostinata appartenenza a un’epoca in declino, circuite e prese in giro da un giovane impostore e sedicente nipote, co­me la baronessa di fede borbonica di Ferdinando, interpretata più volte da Isa Da­nie­li. Signora Danieli, come vede la situazione della dram­maturgia contemporanea oggi?

«Mi sento molto vicina ai contemporanei. Autori come Ruc­cello, Enzo Moscato, Man­lio Santanelli. Non ho mai pensato che la drammaturgia contemporanea fosse in crisi e mi piace portare al pubblico qualcosa di nuovo. Così come mi pia­­­ce lavorare con registi giovani».

Come ha accolto la proposta di fare Signorine?
«Quando Giuliana me l’ha proposta, mi è subito venuta voglia di farla. Una commedia che ha del bello e del cattivo e che ci ha permesso di inventare cose nuove, che solo in palcoscenico è possibile capire».

Come si è preparata?
«Mi sono messa davanti allo specchio cercando tutte le mos­se e le espressioni possibili. Consideri che per venti mi­nuti non parlo e sono immobile su una sedia a rotelle quindi mi devo esprimere con il volto».

Si può dire che ha esordito ufficialmente con Eduardo?
«Ho lavorato con Eduardo a cui scrissi una lettera di candidatura, ma la mia formazione la devo anche alla sceneggiata napoletana, dove ho imparato a ballare e cantare. Io non ho potuto frequentare l’Accade­mia e la sceneggiata è stata una lezione importantissima. Dopo due anni infatti Eduardo mi richiamò per interpretare una commedia di Scarpetta».

Il primo spettacolo che le vie­ne in mente nel quale è stata premiata dalla sceneggiata?
«Il signor “Puntila e il suo servo Matti”, con Glauco Mauri e Roberto Sturno. Interpretavo sette personaggi femminili, uno diverso dall’altro».

La più grande fortuna per un’attrice?
«Poter scegliere i ruoli, ma in verità io ho sempre scelto, anche quando avevo pochi soldi».

Articolo a cura di Alessandra Bernocco

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