«Il mondo cambia e la politica deve guardare avanti»

Il Presidente della Fondazione Polo del ’900 sulle ricadute dell’innovazione digitale: «Essere connessi con ogni continente in tempo reale è bellissimo, ma ci sono rischi da considerare»

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Professor Soave, re­centemente ha partecipato a un convegno sul caso, emerso nel 1971, delle schedature effettuate da Fiat sui propri dipendenti. Sembra una storia di un’altra epoca, ma oggi non ci sono addirittura più strumenti a disposizione di chi ci vuole controllare?
«Il punto è quello, allora c’erano due grandi religioni civili in aperta contrapposizione. Furono trovate 375mila sche­de su operai che arrivavano nella maggior parte dei casi dal Meridione, con un carico di problemi sociali enorme, dopo un filtro di in­formazioni spesso ottenute dai parroci. Era una pratica che non riguardava solo gli operai della Fiat, anche dalle nostre parti era importante sapere che cosa pensavi. Il problema fu che il sistema diventò consueto e accettato: un uso pubblico di informazioni private».

Ora si ripropone la questione con i colossi del web?

«Siamo sotto controllo, ce ne accorgiamo quando facciamo una ricerca online su un’automobile e poi riceviamo varie offerte dal web. L’avvento del digitale ci ha cambiato la vita, ci fa comunicare in tempo reale con il mondo, però ci sono risvolti sicuramente da non sottovalutare».

Al momento possiamo solo immaginarli?
«Non sono competente in materia, ma il rischio di sofisticazioni è evidente. Ci sono stati segnali di intromissioni telematiche nelle elezioni di certi Paesi, in favore di alcuni candidati, condizionando le scelte politiche».

La politica ha ceduto il passo all’alta finanza?
«Dico sempre che la politica ormai è ridotta all’amministrazione. Oggi sono le economie di mercato a dettare gli indirizzi, su scala mondiale. Con questo si spiegano le difficoltà, se non la crisi, delle democrazie».

Possiamo dire che le democrazie si stanno adeguando alla realtà e sono cambiate?
«Dopo l’implosione del­l’U­nio­ne Sovietica si parlò di fine della storia, sembrava non ci fossero più ostacoli. Invece, altro che fine della storia. Si è ripartiti con grandi aspettative, ma questo secolo ha evidenziato più di un’insidia. Faccio un esempio. Se io fossi il presidente del Consiglio e decidessi di intraprendere un’azione che, in maniera con­sapevole o meno, andasse a ledere gli interessi di grandi gruppi, le conseguenze sarebbero immediate. Le borse nel mondo corrono senza sosta, quella di Tokyo con il fuso orario ti risponde con dieci ore di anticipo e a quel punto non è una risposta interlocutoria, ti dice che se porti avanti la tua scelta vai incontro a quelle conseguenze. Pren­dere una decisione democratica ha conseguenze dirette sul piano economico. E però, in questo modo, si mette in discussione il necessario confronto democratico in Parla­mento, gli equilibri tra potere esecutivo e legislativo, in­somma tutto il sistema».

Questi effetti si possono ri­scontrare soprattutto in tem­pi di pandemia?

«Quante leggi sono state emanate in questo periodo? Quan­te sono state discusse? Ci sono evidenti ritardi, eppure la pandemia richiede decisioni immediate. C’è in gioco la salute, ma il mercato pretende coerenza. Quindi emergono problemi rilevanti nel rapporto tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Il quadro complessivo non è esattamente quello immaginato dai padri costituenti. Poi ci sarebbe da fare un ragionamento sul presidente della Repubblica».

Ovvero?
«Qualcuno dice: non toglieteci Draghi perché è un dominus anche in Europa, qualificato in tutti i consessi internazionali. Va bene, ma per quanto tempo ricoprirà la carica di premier? Altri dicono: siamo d’accordo su Draghi al Quirinale per garantire la sua presenza per altri sette anni. Ma questo significherebbe caricare la Pre­sidenza della Repubblica di aspettative e compiti inediti. A conferma del fatto che siamo in una fase di passaggio delicatissima».

In Italia soprattutto?
«Restano in ritardo le riforme della burocrazia. Da dieci an­ni utilizziamo meno del 50% dei fondi europei e questo comporta problemi enormi».

La realtà locale è un po’ meno preoccupante? Come vanno le cose a Savigliano?
«Ma anche qui ci sono difficoltà, sul piano politico è sempre più difficile trovare candidati per le liste e slogan credibili. Io per fortuna ho l’età per essere solo osservatore, anche se qualcuno mi tira per la giacca. Soluzioni? Nell’immediato non ce ne so­no, i giovani hanno grandi que­stioni irrisolte davanti a loro, in un contesto sociale che invecchia e al tempo stesso cambia sempre».