«Viviamo in un laboratorio ricco di opportunità»

Il consigliere regionale del Pd Maurizio Marello delinea le prossime sfide che attendono il Piemonte

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È già rivolto oltre la pandemia lo sguardo di Maurizio Ma­rello, ex sindaco di Alba, oggi consigliere della Re­gione Piemonte tra le file del Partito Democratico, perché «ne hanno bisogno i piemontesi, ne ha bisogno il Pie­monte e ne ha bisogno la politica». L’emergenza sanitaria, oltre a determinare effetti significativi in termini economici e sociali, ha fatto finire in secondo piano una serie di questioni chiave per uno dei territori “guida” del Nord Ovest italiano. Non solo: ha di­stolto l’attenzione da un processo di trasformazione del Piemonte che, come tutti quelli che hanno caratterizzato le epoche passate, richiede la massima attenzione, specie da parte di chi è chiamato ad assumere decisioni fondamentali, come appunto gli amministratori regionali.

Marello, ora che la pandemia fa un po’ meno paura proviamo ad andare oltre e vedere quelli che sono i nodi chiave per il Piemonte…
«Gli aspetti su cui bisogna con­centrarsi sono tre. Anzi­tutto, c’è la questione demografica che vede la nostra re­gione tra quelle con la po­polazione più an­ziana: oc­cor­re invertire la tendenza, perché una società senza giovani non ha futuro. A proposito di giovani, dobbiamo poi creare le condizioni giuste affinché le nuove generazioni non lascino il Piemonte. Il nostro settore formativo è un’eccellenza e sforna professionalità uniche che, tuttavia, in molti casi, sono pressoché costrette a spostarsi altrove per trovare lavoro. Ciò è anche una conseguenza di quella che rappresenta la terza questione non più rinviabile, ovvero lo spopolamento delle cosiddette aree interne a causa dell’assenza di adeguate infrastrutture digitali, oggi sempre più essenziali».

Da dove si parte?
«Le risorse del Piano Na­zio­nale di Ripresa e Re­si­lienza sono una grande op­por­tunità: si tratta di preziose risorse da gestire con estrema attenzione e lungimiranza in modo tale che i nostri territori possano essere dotati dei servizi necessari a renderli ancora più desiderabili, accoglienti e, in generale, vivibili. Uno dei rischi che corriamo, e lo dico anche da albese, è che i nostri territori diventino dei “villaggi turistici”. Abbiamo caratteristiche differenti rispetto a quelle di luoghi come la Costa Sme­ralda, per fare un esempio. Il turista che viene qui vuole continuare a trovare un’area “vissuta” a pieno dalla comunità e dalle imprese, ricca di servizi capillari e di qualità, a partire da quelli sanitari».

Come si “vive” il Piemonte?
«Lavorando la campagna, sporcandosi le mani: aiuta a restare con i piedi ben piantati a terra, a percepire a fondo la dimensione reale dei nostri luoghi, ad accrescere il nostro legame con essi».

Come è nato il suo legame con il territorio piemontese?
«Vivendo a pieno la famiglia e i luoghi in cui sono cresciuto, ovvero la falegnameria di mio papà a Mussotto d’Alba e le colline di Montelupo Albese. Lì c’erano i miei nonni materni e da loro, soprattutto d’estate, trascorrevo molto tempo. Andavo nelle stalle, aiutavo in campagna e poi c’era mio nonno che è stato per 25 anni vicesindaco a Montelupo. In paese faceva pure da “conciliatore”. Ho imparato tanto da lui, dall’esperienza di mio zio, partigiano e anti fascista, e dalla cura delle vigne, di cui amo occuparmi ancora oggi con la mia famiglia…».

Si dedicherà anche alle nocciole come ha fatto il presidente Cirio?
«No, abbiamo solo qualche pianta di nocciolo. Il Pre­si­den­te invece è decisamente più strutturato. Anche in cam­po agricolo, insomma, ci occupiamo delle stesse questioni ma da posizioni differenti, come è sempre stato… (ride, nda)».

Oggi cosa significa per lei il Piemonte? Cosa vuole dire essere uno dei suoi rappresentanti?
«Significa portarsi dentro le qualità, le necessità e i sogni di una delle regioni più im­portanti d’Italia. Il Pie­monte è un grande laboratorio, chiamato a sfide cruciali che riguardano le imprese, la sa­nità, la digitalizzazione, l’ambiente, il turismo, ma anche lo sviluppo delle aree “post industriali” di Torino e la gestione delle esigenze dei 1.181 comuni della nostra regione. Insomma, in Pie­monte c’è davvero tutto, bisogna sapere gestire al meglio questo immenso patrimonio, trasformando le diversità in opportunità».

Lei come si “comporterà”?
«Cercherò di mettere a frutto quanto ho appreso in questi primi mesi di mandato. Con­tinuerò sicuramente a portare in Regione la voce della Gran­da e, in particolare, di Langhe e Roero; più in generale, mi concentrerò sempre di più sulle persone, specie su quelle che hanno sofferto maggiormente gli effetti di questa situazione molto complicata».