Correre e camminare per oltre 29 ore consecutive, 25 delle quali sotto una pioggia battente, percorrendo 142 chilometri in montagna, con un dislivello positivo di 12.000 metri. Sembra un’impresa da superuomini e forse lo è, ma Mat­tia Negro non sembra accorgersene. Oppure finge bene. Quel che è certo è che il 30enne di Barolo non partecipa a queste gare per battere qualche record, ma per la soddisfazione di mettersi alla prova. Mattia, in verità, alla prova si mette già ogni giorno, alla guida della cucina del ristorante di famiglia nel centro del paese langarolo. Par­te­cipare a gare come il “Tot Dret” di Courmayeur, quella terminata in 29 ore tanto per intenderci, è un po’ la continuazione delle sue sfide quotidiane con altre scarpe.

Mattia, non vorrei sembrare eccessivo, ma partirei chiedendole: da persone normali che non fanno i “superman” di professione, come si sopravvive a esperienze come il “Tot Dret”?
«In verità gli ultratrail sono semplici gare di corsa in montagna, più lunghe di una maratona e con dislivello molto ampio, durante le quali non si corre costantemente, ma si può anche camminare per lunghi tratti. Ci sono persone anche non troppo allenate e in sovrappeso che le portano a termine. Certo, più si sale con il numero di chilometri e più la cosa diventa impegnativa».

Ecco, più sale il numero di chilometri e più mi viene da domandare: chi glielo fa fare?

«Fin da piccolo ho avuto una grande passione per la montagna, vuoi anche perché la mia famiglia aveva una casa a Sestriere per cui andavamo sovente a camminare. Seguo fin dalla prima edizione di 11 anni fa, il “Tor des Geants”, una gara ad anello che parte e arriva a Courmayeur seguendo l’Alta Via 1 e 2 della Valle d’Aosta. Sono 330 chilometri da chiudere in massimo 150 ore. Mi sono dato l’obiettivo di partecipare a una delle prossime edizioni. Quest’an­no mi sono scaldato con il “Tot Dret”: siamo partiti alle 21 del martedì da Gressoney e io sono arrivato alle 2 di notte tra mercoledì e giovedì. Ho concluso al settimo posto su 353 iscritti e avrei potuto fare meglio se nell’ultima discesa non fossi stato preda di un’allucinazione da sonno, ma pazienza…»

Come si è avvicinato al mondo dell’ultratrail?
«Da giovane per molti anni ho corso in bici, arrivando sino alla categoria Juniores con la maglia della Rostese. Con me in squadra c’era il mio coetaneo Fabio Felline, ora nelle file del Team Astana, tra i professionisti. Ho poi smesso con il ciclismo per problemi alla schiena e, siccome nei mesi invernali già andavo a correre, mi sono concentrato su questa attività e da due anni ormai partecipo a questo tipo di competizioni».

Che cosa le piace di queste corse estreme?
«Durante queste gare così lunghe sono da solo con me stesso e in quel momento mi sento nel posto in cui vorrei essere. E poi a me è sempre piaciuto far fatica, un po’ in tutto, dal lavoro allo sport».

A parte la fatica, cosa accomuna la sua attività di ultratleta al mestiere di chef?
«La somiglianza più forte che trovo è nella gestione della pressione: quando sei in cucina e hai mille preparazioni da portare a termine e l’inizio del servizio incombe è un po’ come quando stai correndo da ore e seppur stanco devi andare avanti e continuare a dare il massimo».

Chi ha un lavoro per conto proprio come lei in che modo si regola con gli allenamenti?
«D’estate mi alleno al mattino presto: la sveglia suona tra le 4,30 e 5 e poi corro di nuovo nel pomeriggio, tra il servizio di pranzo e quello di cena. Quando devo preparare una gara mi alleno tutti i giorni. Non ho un allenatore che mi segue. Faccio tutto questo per divertirmi: correre è una forma di antistress e la gara è un surplus. Non voglio avere paletti, rischierei di stufarmi».

E per le gare?
«Per fortuna io e mia madre possiamo contare su uno staff fidato che mi permette di assentarmi un giorno e mezzo o due in occasione delle gare».

Non hai mai pensato che le giornate intere passate a correre su e giù dalle montagne fosse tempo sottratto a cose (o persone) più importanti?
«Sinceramente no, perché fortunatamente la mia fidanzata Vanessa, che lavora con me al ristorante, capisce questa mia passione e mi asseconda. Poi per noi è anche un modo di staccare ogni tanto dal ristorante e andare a vedere posti nuovi».

Quindi Vanessa la segue durante le gare?

«Sì, quando sono impegnato in gare lunghe mi segue perché comunque in determinati punti del percorso sei obbligato ad avere una assistenza esterna. Certo, ci sono gli assistenti di gara e il personale dei rifugi che se hai bisogno non ti fanno mancare il proprio aiuto, però avere anche qualcuno della famiglia che ti supporta è fondamentale, fosse solo per cambiarti le scarpe perché tu non riesci più a piegarti e se ne deve occupare qualcun altro».

Questa sua ultima annotazione, il non riuscire a piegarsi dal dolore, mi induce a tornare all’attacco: sicuro che sia una cosa normale?

«Devo ammettere che, a ben vedere per fare una roba del genere un po’ fuori di testa devi esserlo. Ma che vuole che le dica… A me piace soffrire. Non per niente in Serie A tifo per il Torino».