«Dopo la serie A sogno la maglia della nazionale»

L’albese Riccardo Cattapan gioca come centro a Brindisi, una delle squadre più forti del campionato 2020-2021, durante il quale il cestista di 103 chilogrammi e 213 centimetri ha affrontato anche il Covid-19

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Superare il Covid-19, tornare in campo e lottare per un sogno chiamato “scudetto”, sapendo di avere al proprio fianco il tifo di una piazza innamorata. È stato un inizio di primavera sulle montagne russe quello vissuto da Riccardo Cattapan, un concentrato di “albesità” distribuita in 213 centimetri di altezza e messa al servizio dell’Happy Casa Brindisi, tra le candidate per la vittoria finale nel campionato di Serie A1 di basket maschile. Abbiamo contattato Riccardo per scambiare quattro chiacchiere sul basket di oggi e per riavvolgere il nastro sul suo percorso nel mondo del pallone a spicchi, partito proprio dalle amate Langhe.

Partiamo dalle note dolenti, per poi arrivare a quelle più piacevoli. Che cosa significa essere positivi al Covid-19?
«Significa rendersi conto in modo concreto che non si tratta di qualcosa da sottovalutare. Io ero uno di quelli che ritenevano che, ponendo la dovuta attenzione e prendendo le giuste precauzioni, ci sarebbero stati pochi rischi. Invece, la positività è arrivata e con essa quei problemi respiratori crescenti che, sono onesto, fanno anche una certa paura. Ma fortunatamente ora è tutto passato…».

Com’è stato il ritorno in palestra?
«Traumatico (ride, nda). Dopo cinque minuti avevo il fiatone e per qualche giorno ho dav­vero faticato a tenere il ritmo. In squadra abbiamo avuto praticamente quasi tutti il Covid in contemporanea, quindi è stato ancora più difficile tornare a una condizione collettiva decente».

I tifosi vi hanno sostenuto in quelle settimane?
«I supporter di Brindisi sono tra i migliori in Italia e me lo hanno dimostrato una volta di più proprio in quei giorni difficili. Mentre ero in quarantena, di tanto in tanto sentivo suonare al campanello, aprivo e c’era un pacchetto con qualcosa da mangiare e un biglietto come incoraggiamento, lasciato lì da vicini o semplici appassionati. È stato davvero bello sentire la loro vicinanza».

Come sta procedendo la stagione?
«Abbiamo superato i quarti dei “playoff”, (contro l’Allianz Pallacane­stro Trieste, ndr) sperando di avanzare il più possibile. Purtroppo, la positività del gruppo squadra ci ha costretti a qualche sconfitta di troppo proprio nel momento migliore, impedendoci di lottare per il primo posto. La vittoria dell’ultimo turno di “regular season” contro Varese ha, però, dimostrato che ci siamo e siamo pronti a lottare».

Lei che spazio si sta ritagliando?
«Sapevo sin da subito, quando sono arrivato qui, che Brindisi mi sarebbe servita soprattutto per crescere, lavorando al fianco di giocatori di altissimo livello. Nel mio ruolo c’è una crescita più lenta rispetto ad altri: devi maturare mentalmente, ma anche fisicamente. L’area interna, in cui gioco, è una giungla, quindi sto cercando di migliorare sotto molti aspetti per poter reggere l’urto con giocatori di altissima qualità e prestanza. Ovvia­men­te, lo spazio è ridotto, ma sono felice per il minutaggio che sono riuscito a ritagliarmi. Di certo, allenarsi in una squadra di vertice di Serie A1 ti consente di migliorare molto di più che non altrove».

Si sarebbe mai immaginato di trovarsi un giorno nei play­off scudetto?

«Lo sognavo, ma non era scontato. Dal mio ad­dio ad Alba per trasferirmi a Bo­lo­gna, fino all’esordio in Serie A1, di tempo ne è passato…».

A proposito, si ricorda la prima volta in A1?
«Sì, anche se le emozioni han­­no preso il sopravvento quella volta. Fu con la maglia della Virtus Bologna contro Caser­ta e fu bellissimo, an­che grazie all’affetto dei tifosi. È la classica situazione in cui vivi un momento che sembra eterno: per me, che ero partito da Alba, fu uno sbalzo emotivo enorme. De­vo dire, però, che spesso ad amplificare tutto sono il tifo e la posta in palio: resta pur sempre una partita di basket, che porta con sé una routine identica a quella vissuta per una gara nei campionati giovanili o in Serie C. Il coach mi chiamò, entrai in campo e feci la mia parte».

Quello fu il primo passo di un percorso che ha avuto fin qui uno dei punti più alti nella finale playoff di Serie A2 disputata con la maglia di Casale Monferrato nel 2018…
«Che ricordi! Quel gruppo era fantastico e solo l’infortunio del nostro punto di forza, Gio­vanni Tomassini, ci ha im­pe­dito di giocarcela fino all’ultimo. Guarda caso, l’avversario era proprio Trieste. Mi di­spiacque perdere, ma quell’annata è stata fondamentale per me: tutto era utile e ogni situazione ti dava degli insegnamenti importanti, che poi mi sono portato dietro. Con quei compagni e con quel pub­­blico ho creato un legame che è praticamente inscindibile».

La prossima tappa?

«È presto per dirlo. Farò le va­lutazioni con la società a tempo debito. Di certo, credo che per me sia arrivato il mo­mento di mettermi in gio­co, trovando una realtà che possa consentirmi di scendere in campo con regolarità nel­la massima serie. Se questa sarà Brindisi, meglio ancora!».

Alla Nazionale ci pensa mai?

«Sarei un bugiardo a dire di no. L’Italbasket è il sogno di tutti, ma io ci credo sin dai tempi delle mie prime esperienze in azzurro, al Progetto Qualificazione Nazionale, quando giocavo ancora ad Alba. Da quel momento, ho fatto tutta la trafila nelle selezioni giovanili, vincendo anche qualche trofeo importante. Ora, non resta che l’ultimo passo…».

Dopo i “playoff”, però, occorrerà tirare il fiato. Ha già scelto la meta esotica per le va­canze?

«Non ci penso ancora (ride, nda). Devo essere proprio onesto? Io sono patito della mia terra e penso che al mondo non ci sia niente di meglio! Se dovessi immaginare un luogo in cui vorrei essere ora per rilassarmi, direi una piscina tra le Langhe, che per me è sinonimo di relax e paesaggi mozzafiato. Lì, si sta davvero “da dio!”».

Ultima domanda: il suo idolo?
«Io posso dire di essere uno dei pochi fortunati che sono stati allenati da Kobe Bryant, durante una giornata organizzata da Nike a Milano. Lui per me era e resta un idolo non solo sportivo, ma anche umano. Era una persona fantastica, disponibilissima e di una qualità morale incredibile. Al suo cospetto, mi resi conto di come solo sacrificio e umiltà ti possono consentire di arrivare a certi livelli».