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«Quanto tempo perso per mascherine, ristori e vaccini»

Minzolini: «Paghiamo gli errori, ma con Draghi andrà meglio» L’ex senatore e opinionista: «Quando faremo un’analisi di ciò che è successo nel 2020, avremo un quadro più chiaro. Ma che spreco con le “primule”… Ora chi governa ha autorevolezza e pragmatismo necessari per velocizzare tutto. Meravigliose Langhe, un esempio di bellezza ed efficienza per tutti»

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Augusto Minzolini, a che punto si trova l’Italia nel percorso che porta fuori dalla pandemia?
«La questione ormai sta tutta nella capacità di somministrazione dei vaccini, tra numeri e tempistica. Il resto sono solo palliativi. Anche i ristori vanno visti in questa chiave. O si fa come negli Usa e in Inghilterra, dove hanno dato contributi chiudendo seriamente per riaprire entro l’estate, oppure diventa tutto più difficile»

Ma anche da noi ci sono state le chiusure. Che cosa cambia?
«Negli altri Paesi il sistema produttivo è in generale più reattivo. L’Italia è legata alle piccole e medie imprese che costituiscono una realtà particolare rispetto a quella delle multinazionali. I nostri tempi di reazione sono più lunghi».

C’è stato qualche aggiustamento?

«Siamo abituati a gettare la croce addosso al Governo at­tuale, ma la verità è che ha dovuto far fronte ai disastri accumulati in precedenza. Cre­do che quando faremo un’analisi di quanto accaduto nel 2020, comprenderemo meglio molte cose».

Però, a proposito di “sistema Italia” basato su aziende medio-piccole, fin qui non c’è stata molta attenzione da parte della politica.
«L’azione di Conte in questo è mancata fin dall’inizio. Biso­gnava tenere conto della peculiarità del nostro tessuto produttivo, fare come negli Usa con provvedimenti di “helicopter money” di forte impatto sull’economia, dare soldi per affrontare meglio le restrizioni. Invece ora molte nostre imprese non riapriranno».

Come è stato possibile arrivare a questa situazione?
«È mancata la necessaria attenzione. Faccio un esempio: le mascherine. In Italia ne sono stati distribuiti 250 milioni di pezzi che si sono rivelati nocivi, destinati soprattutto agli operatori negli ospedali. Que­sto è stato un problema enorme. Non c’è stato un controllo preventivo. Come se in una guerra si dotassero i soldati al fronte di fucili che sparano al contrario».

Perché possono verificarsi queste storture?

«Perché facendo “dumping” la Cina ha prodotto queste ma­scherine a basso costo provvedendo a un’esigenza che poi, nel tempo, è stata affrontata anche da una settantina di no­stre aziende. Certo, i costi sono un po’ più alti ma anche la qualità è migliore. Bisognava creare una corsia preferenziale per le nostre aziende, non è stato fatto per miopia».

È accaduto anche per i vaccini?

«Draghi ha aperto alla possibilità di un vaccino prodotto da aziende italiane, ma perché non pensarci prima? E non è il solo esempio. Prendiamo la famosa variante inglese. Ormai è responsabile dell’87% dei casi Covid. Si sapeva già che differiva per una maggiore capacità di contagio che infatti ha prodotto circa un 38% di casi in più. E si sapeva quindi che le terapie intensive ne avrebbero sofferto, eppure non è stato preso alcun provvedimento».

Qui entriamo nel discorso dei bandi…

«Esatto. I bandi per le nuove terapie in­tensive erano sta­ti indetti nello scorso mese di ottobre, in netto ritardo, e poi quelli per i vaccinatori solo il 4 dicembre… Inspiegabile. Ora si revocano gli incarichi e il nuovo commissario Fi­gliuolo ha apertamente parlato di “illogicità” del precedente piano. Tutto questo fa riflettere, dopo un anno, sulle modalità di intervento contro il virus, al netto del comprensibile periodo di iniziale difficoltà».

Qual è il problema della nostra politica?
«Decisionale, oltre che di tempestività. Se devi rincorrere il virus, sei nei guai. Bisognava prevedere, anticipare. In In­ghilterra, dove le vittime sono in media 17 al giorno, hanno at­traversato un “lockdown” di tre mesi e il Pre­mier ha scelto di utilizzare tutti i vaccini invece che una sola dose di Astra­Zeneca. Ha rischiato, certo, ma fa parte del suo ruolo. Ha avuto ragione. Da noi nessuno rischia, anzi, c’è uno scaricabarile generalizzato. Eppure, l’articolo 117 della Costituzione prevede espressamente che nelle situazioni di “profilassi internazionale” sia lo Stato a gestire l’emergenza con l’appoggio delle Regioni, invece siamo arrivati a un balletto decisionale».

Con Draghi questi rapporti sono migliorati?
«Con la sua autorevolezza ha bloccato i vaccini in transito in Italia, creando un precedente seguito anche da altri, aumentando la capacità contrattuale del nostro Paese e ponendo le basi per un accordo. Qui sta il punto: servono queste qualità. Competenza, pragmatismo e autorevolezza. Mi vengono in mente le scelte fatte in passato, penso alle “primule”: un costo di 410mila euro per ogni padiglione. Ma se ci sono aziende chiuse per la pandemia, co­stret­te magari a pagare affitti, perché allora non utilizzare quelle strutture sgravando dai costi imprenditori in difficoltà e rendendo un servizio alla comunità? Sarebbe servita un po’ di fantasia. Non è questione di destra-sinistra».

Per l’estate l’emergenza sarà superata?
«Lo speriamo tutti, si passa dalle vaccinazioni, con organizzazione e disciplina. Bloc­can­do chi cerca di far valere la propria forza contrattuale per arrivare prima degli altri. Pec­cato che all’inizio non sia stata sfruttata l’onda emotiva della partecipazione popolare. È qualcosa che appartiene a noi italiani, lo avevamo visto con i canti e i balletti dai balconi. Invece è prevalsa l’ipocrisia, la retorica, poi la deresponsabilizzazione».

Quando si potrà viaggiare, passerà dal Piemonte?
«Ho trascorso il mio periodo professionale più lungo con La Stampa, conosco bene Torino. E le Langhe sono una meraviglia. Un gioiello che vale come esempio per l’organizzazione della filiera alimentare e l’eccellenza dei prodotti, oltre alla cultura».