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Il dizionario di Mughini «L come langhe»

L’opinionista rivela: «Amo Fenoglio e il profumo della sua terra»

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Fuori dalle risse televisive nelle quali si accapiglia volentieri principalmente per questioni di tifo calcistico, Giampiero Mughini è un fine intellettuale che negli anni ha seguito un percorso tutt’altro che convenzionale. Recente­mente lo ha riassunto nel suo libro, “Nuovo dizionario sentimentale” (sottotitolo “Delu­sioni, sconfitte e passioni di una vita”, Edizioni Marsilio), nel quale tratta, con lo stesso disincantato equilibrio, argomenti disparati come storia, letteratura e umanità varia.

Mughini, colpisce il passaggio nel quale fa riferimento al fatto che ormai le persone si parlano addosso, non c’è più nessuno realmente interessato agli altri e a nuovi argomenti. È così?
«Ognuno ragiona ormai solo attorno al proprio ombelico. Ho sperimentato, alle cene con altre persone, che se avvio un discorso su una questione non comune, l’attenzione generale resiste appena una trentina di secondi. Poi in tutti prevale il disinteresse. È qualcosa di patologico, dovuto ai social, alla prevalenza del telefonino, dove si esalta la vanità, dove domina il soliloquio».

Una volta la politica, subito dopo il calcio, era un argomento catalizzatore. Non è più così?
«Guardi, quello sulla politica è forse il capitolo più fiacco di tutto il mio libro, così co­me la politica stessa appare ai miei occhi. Del resto, avevo già espresso la mia opinione sui Cinque Stelle dopo che, cliccando su Internet, avevo verificato come i loro primi parlamentari non avessero mai fatto una dichiarazione dei redditi, ovvero non avessero mai lavorato. Que­sto mi era sembrato un tema decisivo».

A proposito di politica, lei è stato uno dei primi a sostenere il superamento delle categorie destra-sinistra.
«Ma certamente, il mondo cambia in continuazione e come potrebbe non cambiare la scena politica lasciando immutate le categorie, non dico di cento anni fa, ma anche soltanto di trenta? Oggi siamo nell’era digitale che ha stravolto tutte le nostre convinzioni, figuriamoci. E invece basta pensare che certa sinistra fa ancora riferimento alla Fiat Mirafiori».

Cosa sono diventati, oggi, i politici?

«In molti casi personaggi che si preoccupano di mettere insieme, in ogni modo, quei trentamila voti che servono per garantirsi un posto in Parlamento. Anche se non tutti sono così; non lo è per esempio Letta. Non lo è neanche Renzi, che riceve molte critiche ma resta un politico di spicco. Quando tra cinquant’anni si racconterà la storia d’Italia di questi anni, lui sarà ricordato come uno dei protagonisti».

E, invece, Draghi?
«Sono contento che ci sia uno così a capo del Governo, uno con la sua reputazione internazionale e l’esperienza: co­sa rara. Ci ha ridato un po’ di rispetto nel mondo».

Nel libro parla della sua amicizia con Pannella.
«Un sovrano della ricostruzione democratica: se oggi il divorzio è legale lo dobbiamo alle sue battaglie. Era difficile da gestire anche come amico, litigava praticamente con tutti. Però, “chapeau”… Oggi manca uno come lui. Grillo all’inizio era un altro libero giocatore, poi è cambiato. Se uno valeva dieci, l’altro vale tre».

Anche lei spera nel vaccino per ripartire?

«È l’unica speranza. Ma a preoccupare davvero in questa fase non è il Covid quanto il reddito delle persone, in tanti sono allo stremo. Nei miei spostamenti, parlo spesso con i tassisti e so cosa stanno attraversando: in una giornata arrivano a stento a guadagnare 50 euro contro i 150 di poco tempo fa».

Come ha vissuto le chiusure imposte dal virus?

«Io sono un solitario, quindi le vivo abbastanza bene. Non vado in giro, non cerco compagnia, non frequento salotti. Per me cambia poco. Mi spiace non vedere gli amici, ma sono stato poco toccato dall’emergenza in questo senso. Al novanta per cento vivo la mia vita nella mia casa, assieme ai miei libri».

A proposito, ha detto che quando un libro supera le centomila copie vendute, lei evita di leggerlo.

«Non sono portato per certa letteratura che deve piacere a tutti. Per carità, ci sono anche best-seller di eccellente qualità e alcuni ne ho anche letti. Ma è più facile che mi sia capitato prima che un certo libro raggiungesse il successo po­polare. Mi viene in mente “Il Gattopardo” di Tomasi di Lam­­­pedusa. Avevano regalato a mia madre una delle prime copie stampate, lo lessi quando ancora nessuno lo conosceva. Ma era un’altra storia. Mi piacciono di più gli autori obliqui, quelli sconosciuti».

Quelli che non arrivano al successo?

«Finché era in vita, Italo Sve­vo aveva venduto non più di duecento copie dei suoi tre romanzi. Ma poi, che cos’è il successo? Quando Berlusconi era all’apice, anche i suoi op­positori godevano di quella luce riflessa. Penso a Santoro, per esempio. E quando il pri­mo è uscito dai riflettori, an­che l’altro è sparito».

La tv è un mondo che frequenta: come sta cambiando?

«Difficile riassumerlo in una parola. La tv è tanti mondi in­sieme. Non ci sono più i gi­ganti di prima: Baudo, Bon­giorno; c’è Costanzo, c’è Bo­nolis. Però oggi, se dici tv, ti riferisci a 600 canali che de­vono spartirsi il pubblico (a parte i giovani che usano altri mezzi). È una lotta per circa 20 milioni di spettatori, il livello così si abbassa per arrivare a quello popolare, che è tragico».

La fruizione e la passione per il prodotto televisivo del calcio risentiranno della crisi da Covid?

«La passione per un gioco così bello non può appassire. Per le aziende, invece, il discorso cambia. La Juventus, una delle più solide, ha comunque un passivo di bilancio che rende sempre più difficile la competizione».

Ultimo tema, le Langhe. Ci è già stato?
«Di sfuggita, ma le ho frequentate letterariamente grazie alla mia predilezione per Fenoglio. Sul piano reale, di questa terra mi restano un profumo e un aroma meravigliosi».

BaNNER
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