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Ricorrono i 100 anni del martire Augusto Dacomo

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Cento anni fa, il 6 aprile 1921, na­sceva a Monticello d’Alba, Pier Au­gusto Dacomo, medaglia d’oro e d’argento al valor militare, fulgido esempio di eroismo e di fede che le future generazioni mai dovrebbero dimenticare.

Augusto, il cui vero nome in realtà era Pietro Agostino, era l’ultimo dei cinque figli di papà Tommaso e mamma Francesca, piccoli proprietari terrieri.

Augusto, di profonde radici cattoliche, era portato per lo studio e a 11 anni entrò nel Se­minario Vescovile di Alba dove frequentò i cinque anni del ginnasio. Nel 1937 ottenne la licenza presso il Liceo Govone di Alba, quindi seguì i tre anni del corso magistrale all’Istituto Provvidenza di Bra, dove “… con brillante risultato, che lo distinse fra gli altri candidati”, ottenne il diploma di abilitazione magistrale nell’estate del 1940.

Abbandonata la carriera ecclesiastica ma mantenendo la carica di responsabile della Giac albese (Gioventù Italiana di Azione Cattolica), il 28 febbraio del 1941 venne chiamato alle armi con destinazione la Scuola Militare Alpina di Aosta. Nominato sergente a giugno, partì per Bassano del Grappa dove seguì il corso per Allievi Ufficiali di Complemento (Auc). Un anno dopo, a marzo 1942, fu promosso sottotenente e venne assegnato al II battaglione del 104° Reggimento della Divisione Alpina «Cu­neense», stanziato in Jugo­slavia.
Il 7 giugno 1943 il reparto di scorta comandato da Augusto cadde in un’imboscata a Rutte di Gracova, nella valle del torrente Coritenza (ora in Slo­venia). Una pallottola nemica colpì il sottotenente alla spalla destra, attraversandola da parte a parte, ma non impedì al giovane comandante di salvarsi assieme ai suoi uomini. Per questo episodio il comando del IV Corpo d’armata lo gratificò prima con un encomio poi con la medaglia d’argento al valor militare.

«Ritornò a Monticello per la convalescenza», rievoca un nipote che all’epoca aveva sette anni. «Ricordo che, per riacquistare la tonicità dei muscoli della spalla, mi prendeva per la vita, mi alzava e mi metteva in groppa al cavallo di suo papà, più e più volte. Nella mia mente quella ferita è ancora ben presente: sembrava un ombelico».

Dopo l’armistizio dell’8 settembre Dacomo, che sceglie il nome di battaglia “Pier Damiani”, entra in contatto con le squadre partigiane della zona di Bra e il 20 novembre dà vita al gruppo “I ribelli di Monticello” di cui fanno parte Cram (Michele Ardino), Veloce (Piero Ardino), Vero (Giovanni Barbero), Max (Mario Bar­bero), Sir (Basso Lorenzo), Da­nubio Blu (Filippo Margiaria), Solitario (Giovanni Mo), Falco (Francesco Sola) e Vera (Olga Gavuzzi). Il gruppo si scioglierà poi il 6 marzo 1944.

Intanto a inizio 1944 Augusto entra nelle formazioni autonome guidate dal maggiore “Mauri” (Enrico Martini) ed ottiene i gradi di tenente. Con la sua squadra opera in Val Corsaglia e in Val Casotto dove, il 13 marzo 1944, incappa in una massiccia offensiva tedesca. La dura battaglia prosegue ininterrottamente per quattro giorni. Il 16 marzo, dopo essere stati accerchiati, gli italiani sono fatti prigionieri.

Alcuni partigiani vengono fucilati sul posto mentre gli ufficiali sono condotti in carcere, prima a Ceva e poi a Cairo Mon­tenotte, nei locali del Regio Riformatorio, dove cercano di estorcer loro notizie sulle cellule che si oppongono ai nazi-fascisti. Questi ufficiali erano il sottotenente Innocenzo Con­tini, 22 anni, il tenente Domenico Quaranta e il sottotenente Ettore Ruocco, entrambi ventiquattrenni, più Augusto Dacomo di 23 anni. Un quinto ufficiale venne a patti con i tedeschi ed ebbe salva la vita.

Per 31 giorni i quattro eroi subiscono numerose e indicibili torture nelle celle sotterranee dove sono segregati ma si chiudono in un mutismo totale e nulla trapela dalle loro bocche. Sulle pareti delle celle scrivono, con qualche oggetto appuntito e con le unghie, i loro pensieri e, solo poco prima di essere fucilati, i loro nomi. Nella sua cella Da­como scrive l’inizio del Padre Nostro, un’invocazione a Gesù e un pensiero alla mamma.

Condannato a morte con i suoi tre compagni, viene fucilato a Cairo Montenotte all’alba della domenica 16 aprile 1944. Muore al grido di “Viva l’Italia”.

Per sommo spregio, i quattro eroi vengono trasportati al cimitero su un carro della spazzatura e sepolti, senza cassa, nella terra di una fossa comune. Alla popolazione viene proibito di avvicinarsi ai loro cadaveri.

Solo sei mesi dopo i loro corpi saranno esumati e messi nelle bare.
Il 15 maggio 1945 i quattro martiri della libertà otterranno finalmente una degna sepoltura nei loro paesi.
Con decreto del Presidente della repubblica del 23 maggio 1947 Dacomo è decorato con la medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

Monticello d’Alba gli ha dedicato una piazza, un monumento e le scuole elementari.
La città di Alba gli ha intitolato una via.
A Cairo Montenotte oltre al monumento sul luogo dell’esecuzione a ricordarlo c’è una lapide sulla scuola di Polizia Penitenziaria (ex Regio Riformatorio).
Un’altra lapide lo ricorda a Pamparato, mentre al Sacrario di Bastia Mondovì vi è un cenotafio in sua memoria.

Lottare per la propria e altrui libertà, essere uomini d’onore e mantenere la parola data anche a costo della propria incolumità. Ecco l’ultima lezione del giovane maestro di Monticello d’Alba.

Articolo a cura di Elio stona

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