Oltre il limite, di nuovo

Continua a stupire Alex Zanardi, il quale ha aperto gli occhi a distanza di mesi dal terribile incidente in “handbike”. L’ex pilota rappresenta per molti un modello per ricominciare, ritrovare la felicità, scovare un aspetto positivo anche nel dolore più profondo, cercare sempre una luce in fondo al tunnel

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Passi avanti. Piccoli, però preziosi. Passi lungo una strada che rimane lunghissima, tra cure e sofferenze, sacrifici e speranze, lacrime amare oppure commosse, momenti di scoramento e d’emozione. Alex Zanardi ha aperto gli occhi, alzato il pollice, stretto la mano, posato lo sguardo su Daniela che gli è sempre rimasta accanto. Pochi ci credevano, perfino la scienza dubitava, dopo il terribile incidente in “handbike” durante una staffetta benefica: cronaca di giugno, il campione in condizioni disperate, i danni neurologici e fisici riportati nel violento scontro con un camion sembravano destinarlo, comunque, a un lungo sonno, a un mondo chiuso per sempre in un letto in un groviglio di fili e tubicini. Invece, tra sedute di riabilitazione e interventi chirurgici, è cominciata una faticosa risalita, e non importa che la vetta sia lontana: stupisce che quelle mani forti abbiano già stretto la roccia per arrampicarsi ancora, stupisce che un uomo possa avere dentro tanta forza. O forse no. Perché questa è la terza vita di Alex. Perché ha già dimostrato che la volontà può trascinare oltre ogni limite e che si possono vincere sfide apparentemente insormontabili.
Vent’anni fa era sopravvissuto a un altro spaventoso incidente quando, conclusa la carriera in Formula 1 abbracciato il campionato Champ Car, fu centrato in pista da un altro pilota dopo aver perso il controllo dell’auto e subì, sul colpo, il taglio degli arti inferiori. Rischiò il dissanguamento, ebbe l’estrema unzione, sopravvisse invece attraversando un deserto di dolore e attingendo all’oasi della forza interiore, superò sette arresti cardaci e sei operazioni, continuò a vincere al volante e divenne poi paraciclista. Senza più gambe, concentrò l’energia nelle braccia spingendo la sua bici fino a conquistare quattro ori e due argenti olimpici. Più di tutto, però, ha sempre impressionato l’energia mentale, la capacità di non abbattersi e non mollare, di non cedere alla rassegnazione o allo scoramento, di convertire (parole sue) l’incidente in opportunità.
Alex si è avvinghiato alla vita, ha urlato al mondo il suo amore per la vita e per lo sport, sicuramente qualche riflessione malinconica intima l’ha assalito però l’ha sempre spazzata via, nascosta dietro un sorriso, trasformata in linfa per sfide sempre nuove. Per questo è diventato un esempio, un riferimento, un simbolo: migliaia di persone tradite dal destino hanno trovato in lui un modello per ricominciare, ritrovare la felicità, scovare un aspetto positivo anche nel dolore più profondo, cercare sempre una luce in fondo al tunnel. «Non volevo dimostrare niente a nessuno», ha sempre detto,: «la sfida era solo con me stesso, ma ben venga il mio esempio se è servito a dare fiducia a qualcuno». Non è uscito soltanto dal buio, vent’anni fa. Sarebbe stata già una conquista. Alex è uscito più forte e più forti ha reso donne e uomini in difficoltà, le sue braccia muscolose, il suo cuore grande, la sua mente tenace hanno regalato speranza, insegnato che si può risalire anche dal fondo, che si possono esplorare mondi nuovi e catturare soddisfazioni sconosciute pure se il tuo mondo felice finisce all’improvviso in frantumi, pure se la notte cala all’improvviso e al risveglio non hai più le gambe. Un eroe, senza desiderarlo. O forse, ci perdoni lui così schivo, un supereroe. Perché quest’ennesima prova, quest’ennesima risurrezione, svela una forza interiore e un amore per la vita che non paiono umane. La vetta è lontana, ma le mani afferrano già la roccia. E tutti tifiamo Alex, e ci sentiamo un poco più forti.