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«Per il vaccino non dobbiamo perdere tempo»

L’infettivologo Bassetti avverte: «Sarà disponibile in primavera, ma serve un piano già adesso»

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Professor Bassetti, lei non crede che il vaccino (come an­nunciato dalla nota casa farmaceutica tedesca) sarà disponibile entro fine anno?
«Non è che sia pessimista, mi limito a osservare i dati scientifici. In questo caso, già valutando le anticipazioni presentate da Pfizer nell’“interim analysis”, le sensazioni erano state positive. L’azienda ha poi dichiarato che il vaccino sarà efficace al 90% ed è qualcosa che va addirittura oltre le aspettative. Non mi stupisco nemmeno del fatto che l’amministratore delegato abbia venduto le azioni, lo ha fatto in una logica speculativa. Ma adesso bisognerebbe avere già pronta una campagna vaccinale. Siamo il paese con la più alta percentuale di “no vax” e quindi dovremmo spiegare bene rischi e benefici dei vaccini, a quel punto sono convinto che tutti verranno a chiedere di essere vaccinati. Ma entro l’anno sarà difficile».

Quale scadenza prevede?
«Dipende appunto da come ci organizzeremo. Se in primavera avremo la disponibilità di dosi e se le somministrazioni dovranno essere due, sarà il caso di predisporre un piano immediatamente: saranno nu­meri notevoli. Con le strutture attuali non potremmo sentirci tranquilli. Faremo il vaccino nelle farmacie? Ci penserà l’Esercito? Si dovranno fare nuove assunzioni, forse. Quindi il piano servirebbe… da domani. C’è anche da tener conto, per questo vaccino, della sua conservazione a -80 gradi e della catena del freddo e di tutto ciò che questo comporta per la sua conservazione e il trasporto».

Nel frattempo, sono quasi finite le dosi per l’anti-influenzale.
«Ne erano state messe a disposizione 18 milioni di dosi, ma la gente spaventata ne ha chieste di più. È preoccupante perché doveva essere una prova, una sorta di “testa di ponte” per il vaccino Covid».

Lei ha spesso criticato le scelte del Comitato tecnico scientifico.
«Mi ha sconcertato fin dall’inizio la sua composizione: non c’è un infettivologo, manca un microbiologo. A capo della struttura c’è un ostetrico (Agostino Miozzo, ndr), il segretario è un medico della Polizia (Fabio Ciciliano, ndr) e allora mi viene il dubbio sui criteri utilizzati per certe scelte. Premesso che nel Cts ci sono anche ottimi professionisti come Massimo Antonelli, Gianni Rezza, Luca Richeldi o Silvio Bru­saferro, oppure Roberto Bernabei».

A proposito di Bernabei, perché quella polemica dopo la sua osservazione sulla letalità del Covid nella fascia degli ottantenni?
«Bernabei è uno dei più importanti geriatri in Italia e ha detto cose che tutti pensano, ma il Cts stesso lo ha sconfessato. Eviden­te­mente c’è un problema interno, un problema essenzialmente politico. La questione Covid non è da affrontare come un contenzioso politico, deve essere gestita da professionisti della malattia. Peccato perché in I­talia abbiamo tante personalità valide anche in questo settore».

È una candidatura?

«Non mi interessa, sono contento del mio lavoro che svolgo tutti i giorni. Ma vorrei che le cose andassero diversamente in quello che è l’organo di riferimento».

Anche alcune sue dichiarazioni sono state etichettate e catalogate politicamente.
«Sono un uomo libero, se poi qualcuno si riconosce o meno nelle mie idee è un altro discorso. Io sono un medico che negli ultimi nove mesi ha lavorato dalla mattina alla sera in corsia. In tv ci vado solo quando ho finito di lavorare. Ma ho anche pubblicato studi e analizzato il Covid. Attorno all’emergenza c’è troppa politica, nelle scelte di altri paesi vediamo una maggior compartecipazione tra tutte le componenti e meno influenza politica».

Come fare per rendere più autonomo il Cts?
«Forse sarebbe stato meglio dividere il comitato tecnico da quello scientifico per una gestione migliore. Al momento, per esempio, mancano ancora i protocolli ospedalieri per la gestione dei malati».

A proposito, ha ricevuto critiche anche da colleghi dopo la sua nomina a coordinatore della commissione ricoveri per pazienti affetti da coronavirus: per quale ragione?
«Qui è stato un problema di comunicazione giornalistica errata. Il mio non è un incarico na­zionale, abbiamo semplicemente pubblicato su Alisa, il sistema sanitario della Liguria, un protocollo relativo alle cure domiciliari di pazienti Covid a Genova. Qualcuno lo ha presentato come una bozza nazionale ed è sbagliato, non ho alcun ruolo nazionale per la gestione dei protocolli domiciliari. Gli attacchi? Torniamo alla politica… Mi consolo con gli attestati di stima che ricevo quotidianamente da parte di tante persone».

La accusano però di aver negato che ci sarebbe stata una seconda ondata del virus.
«Sono sempre stato coerente, ma posso aver sbagliato alcune valutazioni. Però bisognerebbe andare a vedere anche altre previsioni, qualcuno aveva vaticinato spaventosi numeri di morti che per fortuna sono rimasti solo ipotetici. Non cre­do comunque che questa se­conda ondata sia paragonabile a quella dello scorso marzo. Se oggi la letalità del virus si attesta attorno allo 0,5 per cento, credo sia il caso di provare a convivere con il virus».

Ecco: un asintomatico è un soggetto sano o malato?

«È un portatore sano del virus. Non ha sintomi. Non vive un dramma. Giusto l’isolamento, ma senza arrivare a mettere sulla sua porta una lettera scarlatta, oppure senza che debba essere trattato come appestato. Anche i giovani a rischio? La polmonite da pneumococco, prima di questo virus, è già stata pericolosa anche per i più giovani, con una mortalità che è arrivata quasi al 30% in terapia intensiva, superiore all’attuale coronavirus. Quindi dobbiamo imparare a convivere con questo virus. Il vaccino può davvero essere una luce in fondo al tunnel».