«COVID: PREVENIRE È L’UNICA RISPOSTA MA NON È FACILE»

0
362

«I rischi restano, il problema è che non li vediamo»
Il virologo milanese Pregliasco predica cautela e aggiunge
«I reparti aperti in emergenza? Non è stato un errore. L’airbag dell’auto si paga ed è utile anche se non lo useremo»

Tra i sostenitori della massima cautela applicata la fase 2, il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi a Milano e docente dell’Università Statale, è in prima fila. I modi sono garbati ma le posizioni ferme, perché «bisogna prevedere le conseguenze peggiori per non essere impreparati». A costo di dover fronteggiare forti critiche. Pregliasco porta avanti la sua missione, che passa anche da una costante presenza televisiva.

Professore, ha incassato insulti dai cosiddetti leoni da tastiera per aver detto che a suo parere dovremo convivere a lungo con il virus. Se dovesse riprovare a convincerli, che cosa direbbe?
«In realtà so bene che non è facile convincere chi la pensa così. È ciò che definisco il paradosso della prevenzione, qualcosa che già si è visto con le vaccinazioni».

In che senso?
«Prendiamo la poliomelite, una malattia che negli anni ’60 faceva molta paura alle mamme, perché si vedevano ancora casi di bambini colpiti da conseguenze pesanti. Le vaccinazioni hanno portato a una situazione ormai di polio-free in cui l’evidenza della malattia non si vede più. E quindi emergono dubbi e falsi miti».

Da qui il paradosso della prevenzione?
«Si perché curare è più facile, il farmaco annulla gli effetti della malattia. Io mi occupo proprio di igiene e medicina preventiva, so che si tratta di una questione più complessa».

Nel caso del covid, dipende forse anche dal fatto che i numeri siano stati interpretati in maniera non univoca?
«Ma io continuo a vedere cifre che non sono rassicuranti in Lombardia: a Bergamo e Varese ci sono ancora tanti casi. Ma capisco che non sia facile avere e trasmettere la giusta percezione. Si tratta di un virus subdolo, che agisce sottotraccia».

Lei ha detto che in Lombardia più del 10% dei residenti è stato coinvolto e che si tratta di un dato importante.
«Il dato è questo per ora e quando sarà completata un’indagine epidemiologica si vedrà come sono andate le cose e perché. Nel centro-sud quella percentuale scende al 5%. In ogni caso significa che l’immunità di gregge è ancora lontana da raggiungere. Ed è qui la difficoltà. L’informa-zione che non riesce a incidere nei comportamenti delle persone, per cui ci si dimentica in fretta dei rischi».

Ma la vita delle persone deve andare avanti, non è così?
«Sì, ma penso alla Protezione Civile: io sono anche volontario per l’Anpas. Le faccio l’esempio dei terremoti: distruggono case che poi le persone, anni dopo, ricostruiscono esattamente sulle stesse falde che originano le scosse. Ci si dimentica di verità scomode. Io stesso sono stato insultato per aver detto certe cose, mi hanno accusato di esagerare».

Alcuni suoi colleghi sostengono che il virus rispetto agli inizi sia cambiato.
«Non per il momento. Ci sono meno casi gravi anche perché in generale sono meno i contagi e perché vediamo meglio quali sono i casi, appunto, più complessi».

Quindi non è vero che la carica virale sia meno forte, come sostengono altri specialisti impegnati in prima linea?
«No, non ci sono ancora evidenze sicure che lo dimostrino».

È vero che lei prevede che dovremo convivere con il virus per almeno una altro anno?
«Sì, vedremo. Non è un virus dei più cattivi ma è resistente come il virus H1N1 che ci portiamo dietro dal 2009».

Ma come farete voi virologi a convincere la maggioranza delle persone a cambiare stile di vita, adattandolo al virus? Non è una questione solo sanitaria…
«Infatti, mi viene da pensare a brand come Coca Cola o Apple: la comunicazione pubblicitaria li ha trasformati in stili di vita. Oppure penso al fumo: finché non passerà definitivamente l’immagine secondo cui chi fuma è sfigato… si continuerà a ignorare le conseguenze nocive del fumo per la salute. Io per esempio non riesco a farlo capire ai miei figli…».

Quale effetto del dopo virus, invece, sarà inevitabile?
«Vivremo una vita più slow. L’altro giorno per esempio ho rinunciato a prendere il Freccia Rossa perché non c’erano posti disponibili, mi sono rassegnato a prendere l’auto. Per chi lavora come pendolare, sarà un problema. Forse si dovrà ampliare l’utilizzo dello smartworking».

Il suo motto è: preparati al peggio per avere il meglio.
«Ce lo ha insegnato il covid: all’inizio ci siamo fatto fregare, poi abbiamo saputo reagire prevedendo e anticipando le conseguenze peggiori».

Ora però c’è polemica per le strutture d’emergenza aperte sulla base di proiezioni matematiche. Sono state investite grandi cifre per spazi che oggi risultano semivuoti: errori di valutazione?
«Se lei acquista un’auto con l’airbag e paga per quel servizio, magari non lo utilizzerà mai ma ha fatto… prevenzione. Nulla di sbagliato».

«Sarà difficile da capire. Non c’è scientificità se il protocollo dice di tenere una distanza di quattro metri e nella realtà ci si trova a un metro da altri soggetti. Vedremo più avanti».