Santa Vittoria d’Alba: paese fluido d’acqua e vino, che si culla il suo “Turriglio”

Il Comune ha nuove mire per il sito archeologico: una storia fatta anche di cinema, piombo e Moscato

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Un nuovo passo in avanti, per valorizzare le qualità di Santa Vittoria d’Alba? Il Comune ci sta lavorando: focalizzando stavolta la sua attenzione sull’area del Turriglio, e cercando di cogliere gli effetti di due bandi, ossia “Luoghi della Cultura” e “Patrimonio Culturale 2020” promossi rispettivamente dalla Compagnia di San Paolo e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo.

Dietro una notizia di stretta attualità, però, c’è la buona occasione di capire come si stia parlando di un paese dai toni decisamente… fluidi.Da una parte c’è il riferimento all’odierna situazione, con i suoi auspici chiari e diretti: che fanno rima con possibilità di nuovi fondi per valorizzare al meglio un sito che è tra i punti di pieno interesse per un paese dalle molte potenzialità in termini di contenuti, paesaggio, storia e… personalità “liquida”.

Pensiero contorto? A quanto pare, tutto ciò che scorre ha un senso, qui, da secoli. E c’è così l’altro aspetto della questione, che muove i suoi passi proprio da questo luogo: divenuto tema di pieno interesse, in questi giorni, con tanto di dossier di candidatura affidato all’architetto Marco Musso di Piozzo con l’accordo della Soprintendenza per l’archeologia, le Belle Arti e il paesaggio.

Cos’é, esattamente, il “Turriglio”? Un’ampia struttura pianta circolare, del diametro di 12 metri alla base, posto all’incrocio tra le strade che collegavano un tempo la vicina “Pollentia”, l’antica Alba Pompeia e Augusta Bagiennorum, ossia l’importante città -per l’epoca imperiale romana, certamente- di Bene Vagienna.

Le sue origini sono remote, probabilmente al 100 avanti Cristo: le ragioni della sua costruzione, invece, paiono ancora oggetto di dibattito. Monumento celebrativo per la vittoria di Caio Mario contro i Cimbri, ai Campi Raudi, ossia l’odierna Roddi? Oppure luogo funerario, testimoniato dai resti di alcune sepolture e cinerazioni qui ritrovate: o ancora, per tornare ai riferimenti “liquidi”, potrebbe trattarsi di ciò che resta di un ninfeo, e quindi di una fontana monumentale, un “teatro d’acqua”.

Perché l’acqua, qui, conta: basta fare pochi passi, oltre il passaggio a livello e la strada della stazione ferroviaria di Cinzano, per capirlo meglio. Lì, dove c’è un sistema di chiusa dell’acquedotto perfettamente recuperato alcuni anni fa: e ora divenuto punto-tappa del Roero Bike Tour, la cosiddetta “autostrada verde” ciclabile che collega tutti i paesi della Sinistra Tanaro. Lì, dove ci sono testimonianze di una sorgiva che funge da sponda al Rio Genta: la quale sgorga proprio al borgo di sommità e si infila in quel fiume Tanaro non sempre facile da dominare per il paese roerino, e che proprio qui conosce uno dei tratti più larghi, idealmente difeso “di fede” dalla Santa Paola, patrona di Cinzano.

Un Tanaro da temere, ma che ha sempre dissetato ed ora offre energia: dalle falde freatiche, risorsa idrica per tutta la piana, allo sbarramento idroelettrico che giunge sino a fare il suo verso di là, oltretorrente, ai piedi del nuovo ospedale di Verduno, sentinella della sorella Langa.

Un Tanaro già affrontato proprio dai romani con i primi collettori in piombo, e con l’acquedotto del tempo che fu: in un paese di pozzi e di fontane. Ci sono quelle che lasciano ormai traccia solo sulle mappe e nei toponimi, come nel caso della Fontana Lupa, Empia, Fontanelle, e nomi ancora reali come Val di Spinzo e Genevraj.

Quasi un feticcio, o una fonte non solo di acqua, ma anche di ispirazione, in quest’ultimo caso: almeno per Robert Crichton, autore de “Il segreto di Santa Vittoria” (che diede a questo luogo la forma di una tartaruga, nei suoi scritti), destinato a divenire un film hollywodiano con Anna Magnani e Anthony Quinn al centro della scena.

Fu un’evidenza mondiale però solo sfiorata, almeno sotto il profilo cinematografico, per il paese del Roero: e sì che questa storia vera, in cui il paese celò un milione di bottiglie di vino agli ufficiali nazisti, per un errore geografico della produzione e del regista Stanley Kramer finì per essere ambientata in un (quasi) omonimo paese delle Marche. E girato poi nei colli laziali, anche se le insegne “Cinzano” rimasero comunque in scena: come del resto avveniva in tutta quell’Italia dell’epoca. Come dire: non serve un film per farci fare il giro del globo.

Pazienza: resta il bel rumore di ciò che sgorga, zampilla e viene versato: come l’acqua, sì. Ma anche come il vino: possibilmente dai già rinomati vasi “Anforiani” da cui deriva il topos di una località ai confini con Monticello d’Alba -che condivide, con Santa Vittoria, un pezzetto di zona già riconosciuta come Unesco: e funge da traino per l’area, con la nuova associazione Valorizzazione Roero- entrata nella leggenda assieme allo scomparso castello.

Vino, sì, e possibilmente vino Moscato, che qui è sinonimo di viticoltura al suo massimo livello: in un’enclave enoica per cui il disciplinare “Asti”, nelle due versioni “Asti Spumante” e “Moscato d’Asti”, riconosce tale lignaggio solo al comune di Santa Vittoria d’Alba, come pegno del lavoro svolto per anni dalla ditta Cinzano nella valorizzazione di questo vino. Di cui, peraltro, si deve al paese anche il nome, con tanto di riconoscimento di una sottozona di produzione specifica, e un pugno di validi vigneron a curarla.

Acqua, vino, nomi, ragioni per credere nei progressi di questa nuova aspirazione del Comune: per il “Turriglio”, per il paese stesso, per tutto il Roero. Con un carattere “romano”: quello di tale edificio storico, e quello che la zona deve avere più che mai, ora, per le sfide future.

Paolo Destefanis