Nessuna classe dirigente ha dovuto affrontare un’emergenza come quella attuale. Per questo, diventa ancor più significativo l’apporto che può dare chi ricopre un incarico politico avendo alle spalle un’esperienza sul campo e quindi conoscendo molto bene le dinamiche del settore di cui si occupa. In Piemonte, tra gli altri, a vantare tali requisiti è Paolo Bongioanni, nuovo capogruppo “in pectore” di Fratelli d’Italia in Consiglio regionale nonché presidente della VI
commissione (cultura e spettacolo; beni culturali; istruzione ed edilizia scolastica; sport
e tempo libero) e vice presidente della III Commissione (turismo, economia; industria; commercio; agricoltura; artigianato; montagna; foreste).
«Ho operato nel settore delle imprese turistiche, sportive e dell’organizzazione di eventi per 22 anni e so che il dialogo con gli operatori è la prima cosa da cercare. Per questo anche i protocolli di sicurezza legati all’emergenza sanitaria non possono essere calati dall’alto, senza un confronto con il mondo delle imprese. Se le decisioni prese non sono attuabili e riaprire significa spendere più di quello che si guadagna, si costringe al collasso l’imprenditoria medio-piccola, che è l’ossatura portante del Piemonte e di tutta l’Italia», puntualizza il monregalese, prima di rispondere alle domande di IDEA. Un approccio confermato dalla recente presa di posizione di Bongioanni in merito alla decisione del Presidente Cirio di prevedere norme più stringenti rispetto a quelle del Governo per la fase 2. Il consigliere, infatti, si è fatto portavoce delle istanze della categoria di ristoratori e affini, chiedendo al presidente di Regione di rivedere la sua decisione e optare per l’immediata apertura del servizio da asporto, per «una minima ripresa economica e sociale verso queste categorie produttive, a cui il Piemonte dovrà sempre dire grazie anche in termini di crescita turistica».
Da un punto di vista economico, cosa pensa delle mosse del Governo contro la crisi?
«Le misure che propone il Governo sono un’aggiunta di debito al debito, invece dobbiamo riuscire a immettere liquidità. Parlo del turismo: le aziende di quel settore non sono strutturate per un blocco del genere, non reggono un arresto totale , perché vivono sul denaro circolante, quindi hanno bisogno di denaro vero, che si chiama finanziamento a fondo perduto. O in alternativa, si può fare un altro discorso: un imprenditore che ha zero produzione e zero incasso deve avere anche zero spese. Quando le attività ricettive e turistiche riapriranno, peraltro,
avranno bisogno di strutturarsi per tutta una serie di interventi di sanificazione, l’acquisto di dispositivi e la realizzazione di opere edili di adeguamento. Si tratta di una serie di incombenze che vanno a gravare su un settore senza un centesimo di incasso da 60 giorni».
Che cosa può fare la Regione per i settori di cui si occupa lei?
«La Regione può fare qualcosa, benché non abbia enormi disponibilità di cassa. Nel settore culturale sì è sempre lavorato con contributi legati ai progetti. In un anno come questo bisogna spostare l’intervento dal contributo ai progetti al sostegno ai soggetti. La finalità da perseguire nel 2020 è quella di tenere in piedi le strutture, pagare gli stipendi e consentire di salvaguardare i posti di lavoro. Per farlo, occorre modificare la Legge regionale 11.
Per il turismo, invece, l’intervento è più complesso. I fondi europei per il settore ce li ha richiesti indietro il Governo, per finanziare il decreto liquidità e ce li restituirà fra un anno sotto forma di altri fondi europei. Il presidente Cirio ha fatto un miracolo perché è andato a prendere i soldi dalla finanza regionale riuscendo a ricavare più o meno quello che stavamo cercando. 12 milioni di euro saranno da investire per il turismo, la ricettività, l’albergazione e qualcosa di extralberghiero, 10 per bar e ristoranti e poi 5 milioni di euro per la promozione, a cui si aggiunge un milione di euro per i rifugi. In più, ho fatto notare l’esistenza di un altro piccolo serbatoio legato a una vecchia Legge 18, con 5 milioni di euro che però sono su un fondo rotativo e quindi occorrerà modificare anche la Legge regionale 18 del turismo per poter destinare quei denari a fondo perduto».
Sui protocolli di sicurezza come ci si mette d’accordo tra Roma e Torino?
«Io penso serva un’interlocuzione molto stretta con i singoli territori perché bisogna, come dicevo prima, non calare uno strumento costruito da dietro una scrivania, ma occorre condivisione con chi lavora perché serve progettare una riapertura intelligente e progressiva, ma facendo in modo che quando il motore riparte, non si fermi più».
In quale ambito, tra quelli di cui si occupa, vede le maggiori criticità?
«È dura per tutti, ma vedo gravi problemi per le imprese sportive, come palestre e piscine, dove è oggettivamente difficile garantire le distanze di sicurezza e la sanificazione e poi per cinema, teatri e locali notturni. Tale categoria, che genera milioni di euro di fatturato e migliaia di posti di lavoro, temo sarà l’ultima di tutta la filiera a ripartire. Abbiamo la responsabilità di evitare che la fase 2 sia peggio della fase 1 e occorre intervenire subito, adesso dobbiamo correre».
Ritiene che passeremo ancora molto tempo senza poter uscire dalla nostra regione?
«Oggi siamo la regione con il maggior incremento di contagi, ma se si scorporano i numeri dei contagi nelle Rsa, siamo in linea con le altre regioni del nord. La speranza è che i contagi tendano asintoticamente a zero intorno al 20 maggio. Se sarà così e, per esempio, anche la Liguria sarà a zero contagi, mi pare logico potersi spostare. Nel caso in cui si riattivasse un focolaio, bisognerà chiudere subito l’area, ma se i protocolli funzioneranno e a giugno saremo a contagio zero, non penso che potranno esserci vincoli allo spostamento all’interno del nostro Paese. Sono vincoli motivati oggi, saranno motivati il 4 maggio perché avremo ancora un indice di contagio alto, mentre altre regioni saranno a contagio zero o quasi».
La prospettiva di vacanze in Italia per gli italiani la considera un’opportunità per il Piemonte?
«Sì, perché riporterà a riscoprire o a scoprire per la prima volta località straordinarie spesso snobbate a causa di offerte “low cost” provenienti dall’estero. Sarà la riscoperta del turismo di prossimità, quello che si raggiunge in auto, per intenderci e anche del turismo interno. Potrà aiutare il nostro tessuto turistico a scongiurare il rischio di collasso».