Un abbraccio virtuale, dagli sms alla videochiamata. L’importanza dell’empatia durante il Covid-19

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO. La lettera dei Dottori Michele Senatore e Raffaella Citro, dove viene approfondito il concetto di empatia e la sua importanza di questi tempi

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In questo articolo parliamo di alcuni dei cambiamenti tecnologici che l’emergenza Covid-19 ha provocato nella nostra società e nelle nostre aziende. In tutte le attività relazionali l’elemento principe è l’empatia, la capacità di comprendere il mondo interiore altrui evitando i giudizi. La comunicazione empatica tramite la comprensione e l’ascolto attivo permette di consolidare i rapporti sociali e fa sentire l’essere umano partecipe nei diversi contesti di vita. L’elemento cardine sono le sfumature emotive che colorano la comunicazione e che forniscono informazioni sullo stato d’animo dell’interlocutore. Spesso ci si sente compresi solo quando chi ci ascolta comprende le nostre emozioni e non si limita ad ascoltare il racconto della vicenda. Ci sembra che solo comunicando “faccia a faccia” percepiamo e comprendiamo davvero una persona con cui stiamo parlando. Quando passiamo alla comunicazione telefonica o video, sentiamo che manca qualcosa di essenziale nel nostro dialogo. Ma è davvero così?

Il “tempo del Coronavirus” ha dato vita a profondi cambiamenti nei rapporti di socializzazione e ci ha obbligato a vivere le relazioni a distanza, spesso isolandoci nelle nostre case, utilizzando gli unici sistemi comunicativi permessi: i sistemi tecnologici.

Gli smartphone hanno un ruolo predominante nel processo comunicativo attuale e la modalità di utilizzo da parte dell’utenza si è completamente trasformata. Paradossalmente la comunicazione tecnologica ha sempre tenuto a distanza l’aspetto empatico della relazione umana e ha privilegiato una comunicazione diretta ai contenuti e al veloce passaggio delle informazioni. I telefonini erano dispositivi mobili semplici, con poche funzioni e in media senza connessione ad internet; i cellulari erano intuitivi e facilmente fruibili da chi veniva da un contesto culturale che tendeva a rifiutare la tecnologia, la comunicazione avveniva tra due interlocutori ed era quasi esclusivamente verbale con possibilità di scrivere tramite sms semplici messaggi informativi. La comunicazione verbale normalmente è il livello di cui siamo più consapevoli, quello che curiamo con maggiore attenzione; quando ci esprimiamo verbalmente, infatti, cerchiamo di scegliere con cura le parole, adattando il registro al nostro interlocutore. Ad esempio, quando siamo in un contesto formale usiamo un linguaggio forbito, mentre quando parliamo in ambito informale usiamo un gergo colloquiale. La tendenza è di costruire il discorso in modo che sia chiaro e comprensibile, oltre che persuasivo, e di destare interesse e curiosità nell’interlocutore. Nella comunicazione orale assume fondamentale importanza anche l’aspetto paraverbale della comunicazione in cui il tono, la velocità, il timbro e il volume della voce diventano fondamenti del processo empatico. Con l’entrata in commercio degli smartphone le persone hanno avuto la possibilità di integrare le funzioni del cellulare con molte altre appartenenti al mondo degli organizzatori digitali (PDA). L’utente ha avuto in tal modo un accesso mobile a molteplici funzioni:

la connessione al web

le funzionalità multimediali (scattare foto, girare video, ascoltare musica)

le funzionalità organizzative (mail, calendario, documenti)

le funzioni di utilità (calcolatrice, bussola, navigatore satellitare)

le funzioni ludiche

le funzioni sociali (accedere ai social network).

È così che lentamente l’aspetto empatico è andato disperdendosi in quanto, in una prima fase, l’utente ha organizzato il proprio profilo con strumenti sociali che permettono di dare un’immagine di sé artefatta (es.Facebook), successivamente lo sviluppo delle applicazioni per il servizio di messaggistica istantanea multi-piattaforma (es. WhatsApp) ha consentito a tutti gli utenti di inviare e ricevere messaggi di testo, messaggi vocali, fotografie e video, pubblicare storie, condividere la posizione e contatti in maniera facile e veloce, perdendo così inevitabilmente anche il canale comunicativo paraverbale. Le persone hanno nel tempo dell’era tecnologica deciso di utilizzare una comunicazione veloce, sterile, fredda, diretta e ricca di informazioni. Le relazioni ricche di empatia si sono ristrette ai rapporti familiari e solo in alcuni casi ai rapporti amichevoli e lavorativi. Il vortice della tecnologia ha fatto sì che nel tempo l’aspetto più importante della comunicazione, quello non verbale, fosse privilegio di persone intime tra loro nell’ambiente di vita personale. Il non verbale, ovvero tutto quello che si trasmette attraverso la propria postura, i propri movimenti, la posizione occupata nello spazio rispetto all’interlocutore, ma anche il proprio modo di vestire, con la tecnologia è passato in secondo piano creando effetti concreti sul modo di pensare degli utenti, che hanno modificato così le loro pratiche di interazione sociale usuali.

Nel periodo del Coronavirus, però qualcosa è cambiato nelle relazioni tecnologiche. La distanza sociale e la modifica dei ritmi quotidiani ha spostato l’asse dello stress psicofisico e ha rafforzato la consapevolezza del ruolo essenziale dei rapporti interpersonali e della partecipazione sociale che include le tre componenti della comunicazione:verbale, non verbale e paraverbale. Le videochiamate, che fino a pochi mesi fa erano un servizio poco utilizzato, probabilmente per evitare tempi lunghi e situazioni empatiche, hanno oggi un ruolo fondamentale nelle relazioni interpersonali e sociali. Aspetti della nostra vita che prima erano separati – lavoro, amici, famiglia – ora si sovrappongono, nello stesso spazio. Anche i più restii all’utilizzo della tecnologia, fanno oggi uso di uno smartphone per “vedere” il proprio caro, i propri amici, per instaurare una comunicazione empatica. Improvvisamente si è avuto un cambio di rotta, la tecnologia unisce e accorcia le distanze sociali. Qualsiasi momento della giornata diventa il tempo giusto per condividere un’attività, un’esperienza e una emozione in tutte le sue forme. Certo, tutto nella consapevolezza che la videochiamata non potrà mai colmare la mancanza della sfera personale, dell’ambiente condiviso, di un semplice abbraccio o carezza. È infatti proprio l’alterazione della componente prossemica e la mancanza della componente aptica che fanno restare questa comunicazione in qualche modo innaturale. Si tende allora ad alzare il volume della voce, ad enfatizzare la mimica facciale, aumentare l’uso della gestualità: è come se inconsciamente volessimo recuperare la distorsione sensoriale. Inoltre abbiamo la possibilità di vedere nello schermo anche la nostra immagine. Le chat video significano che dobbiamo lavorare di più per elaborare segnali non verbali come le espressioni facciali, il tono e il tono della voce e il linguaggio del corpo; prestando maggiore attenzione a questi consumi molta energia. “Le nostre menti sono insieme quando i nostri corpi sentono che non lo siamo. Questa dissonanza, che provoca sentimenti contrastanti alle persone, è estenuante. Non puoi rilassarti naturalmente nella conversazione “, afferma Gianpiero Petriglieri1, professore associato presso Insead. Ricordiamo allora che la videoconferenza, se usata a lungo, ad esempio per lavoro, stanca la voce e l’organismo e dovrebbe quindi essere gestita attraverso idonei strumenti tecnologici (cuffie, microfoni esterni, auricolari), controllando il volume della voce e la postura e alternando i giusti momenti di pausa e di off della webcam.

In condizioni di crisi, i cambiamenti sono inevitabili. Tale situazione richiede il ripensamento di tutte le interazioni (datore di lavoro-dipendente, relazioni all’interno della famiglia, amicizie, etc.). Qualità come la capacità di assumersi la responsabilità di sé stessi e il proprio destino, la capacità di negoziare e convincere, la fiducia in sé stessi e l’assertività vengono alla ribalta.

Rimane di estrema importanza garantire la salute delle persone e il benessere psicosociale, perciò nasce questo contributo partorito da una comunicazione a distanza tra due professionisti, un terapista occupazionale e una logopedista, che vogliono con queste poche righe ricordare a loro stessi e ad ogni singola persona che qualsiasi strumento diventa realmente utile quando lo si conosce e lo si fa diventare un servizio utile alla salute. Data l’emergenza, i software per videochiamare si stanno sviluppando velocemente con nuove implementazioni; che essi vengano utilizzati per lavoro, per la scuola, per i rapporti personali, ricordiamoci di non perdere di vista l’effetto empatico di tale strumento, unico in grado di mantenere una quasi reale e completa relazione sociale in questo momento.

E’ compito del professionista sanitario esperto in comunicazione analizzare le funzioni tecnologiche e rendere consapevoli gli utenti dei danni o benefici che tali strumenti possono causare in relazione alle modalità di utilizzo e alle funzioni applicate.

Interessante è lo studio delle emoticon; sembra che proprio come nelle situazioni faccia a faccia, le persone più espressive usano le emoticon più frequentemente delle persone meno espressive. Inoltre, le donne usano più emoticon degli uomini e, cosa abbastanza interessante, il significato delle emoticon varia in base alla cultura. Le emoticon sono una forma così preziosa di comunicazione non verbale che diversi team di neuro scienziati hanno studiato le reazioni che scatenano nel cervello umano. Tutti gli studi sono giunti alla stessa conclusione: le emoticon hanno innescato una forte attività nell’area del cervello collegata all’elaborazione delle emozioni, ma nessuna risposta nell’area del cervello connessa al riconoscimento dei volti umani. In altre parole, le persone sono in grado di leggere le emozioni trasmesse dalle emoticon pur essendo consapevoli del fatto che non rappresentano veri volti umani. Diversi sviluppatori, in collaborazione con team di professionisti sanitari, stanno implementando le funzioni dei software per renderli in grado di riprodurre nuovi strumenti attivatori di emozioni.

Così accade per il paraverbale, che abbiamo detto essere la componente non lessicale della comunicazione parlata. Anche se tutto ciò sembra mancare nella comunicazione scritta, le cose non sono esattamente così. Un team di scienziati dell’Università del Wisconsin ha analizzato i dati di Twitter, Facebook e Instagram per osservare le implicazioni del paraverbale testuale nelle comunicazioni di marketing. Hanno scoperto che la comunicazione paraverbale sui social media è in realtà abbondante. Le persone stanno traducendo nella scrittura praticamente tutte le componenti del paraverbale, sia uditivo, tattile che visivo. L’uso di segni ortografici, di maiuscole, di discorsi in terza persona o della traduzione di rumori nel testo sono strumenti del paraverbale testuale. Ultimamente, si sta inoltre diffondendo l’uso delle GIF nella comunicazione digitale che sostanzialmente sostituisce l’uso delle parole. Non c’è più bisogno di una frase completa per esprimere un pensiero o un’emozione quando una semplice GIF può farlo in un modo divertente. Per questo motivo, le GIF trovano il loro posto tra gli strumenti della comunicazione digitale non verbale. Resta da chiedersi se un’immagine standard può essere in grado di contenere o sostituire un’argomentazione o la complessità di un’esperienza personale.

Le tecnologie sociali hanno infranto le barriere dello spazio e del tempo, permettendoci di interagire in ogni istante con più persone. Ma come ogni concetto rivoluzionario, hanno generato una serie di nuove barriere e minacce. L’attenzione si è spostata sulla quantità di comunicazione rispetto alla qualità. Superficialità contro autenticità. In una svolta ironica, i social media hanno il potenziale per renderci meno sociali; un surrogato per la cosa reale. Perché sia un veicolo di comunicazione veramente efficace, tutte le parti hanno la responsabilità di essere autentiche, accurate e di non consentire loro di sostituire il contatto umano.

Anche se la comunicazione è stata influenzata dalla tecnologia, oggi la tecnologia è stata notevolmente influenzata dalla voglia di comunicare abbattendo le distanze.

Le persone gravitano verso le storie vere perché sono ricche di sfumature e di momenti non verbali. Improvvisamente, abbiamo voglia di “sentire” le persone che amiamo mentre passano le loro giornate e, poiché la videochiamata è immediata, proprio come i momenti della vita reale, abbiamo la sensazione di stare lì con loro mentre viviamo un momento della quotidianità. Sono ricordi condivisi, sebbene fortemente filtrati. E possono aiutarci a mantenere il senso di vicinanza che proviamo con le persone che amiamo quando non possiamo vederle come vorremo.

E’ compito di noi professionisti sanitari imparare a conoscere questi strumenti e facilitarne l’utilizzo per le persone con disabilità e non, ma anche ricordare che sono un ponte, un temporaneo aiuto per accorciare le distanze, per un “abbraccio virtuale” in attesa di tornare a quello caldo, profumato, ricco, confortante, vero.

 

Dott. Michele Senatore – AITO – Associazione Italiana Terapisti Occupazionali

Dott.ssa Raffaella Citro – FLI – Federazione Logopedisti Italiani