«Export e “porzionali” i prossimi obiettivi»

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Una delle strade che Valgrana percorrerà per uscire da questo difficile momento sarà quella che prevede il potenziamento delle vendite nell’ambito dei formaggi “porzionati” e da grattugiare, «un settore dove esistono ancora margini e nel quale siamo fortunatamente approdati già da qualche mese, ovvero prima dello scoppio della pandemia di coronavirus», come spiega l’amministratore delegato di Valgrana Alberto Biraghi.

Un altro canale che potrebbe favorire la ripresa è quello dell’export verso l’estero. Su questo fronte, l’azienda lattiero-casearia di Scarnafigi è già attiva, realizzando nei Paesi stranieri vendite pari al 10 per cento del fatturato complessivo.

«La crescita della nostra realtà dovrà sicuramente avvenire attraverso un potenziamento della presenza nei mercati esteri. In questo senso, sarà fondamentale poter tornare a partecipare a fiere ed eventi di respiro internazionale», spiega Biraghi. Sia sui mercati italiani che su quelli esteri l’elemento che potrà permettere a Valgrana di fare la differenza è la qualità dei suoi prodotti, un aspetto prioritario nell’attività quotidiana dell’azienda cuneese. Lo conferma l’Amministratore delegato: «La qualità dei nostri prodotti è una priorità assoluta. È per questo che da sempre ritiriamo il latte da una sessantina di allevatori delle province di Cuneo e Torino attentamente selezionati. Inoltre, sottoponiamo il latte raccolto a numerosi controlli approfonditi e lo lavoriamo a “ciclo chiuso”, ovvero in ambienti estremamente protetti, privi di rischi di contaminazione. Tutto ciò ci permette di produrre il formaggio stagionato, il Piemontino, utilizzando soltanto latte, sale e caglio e senza dover aggiungere conservanti. Seguono lo stesso percorso di qualità i nostri formaggi Dop, ovvero Bra raschera e Toma piemontese». Questi ingredienti hanno portato Valgrana, fondata nel 1991 su impulso di Franco Biraghi, a raggiungere in poco tempo un fatturato di circa 40 milioni di euro, a dare un impiego a oltre 50 persone, senza considerare i posti di lavoro creati con l’indotto, e a distribuire i propri prodotti in ormai tutta Italia.