ESCLUSIVO – Coronavirus: la testimonianza di un monregalese rientrato dalla Cina (L’INTERVISTA)

«Inizialmente le persone non erano neppure autorizzate ad uscire di casa, poi col passare del tempo è stato permesso ad un componente per nucleo familiare di recarsi nei supermercati per fare scorte di cibo e acqua»

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Il Bund - Shanghai

All’indomani delle disposizioni adottate dal Premier Conte, che ha esteso la zona rossa per il contenimento dell’emergenza Coronavirus a tutta Italia, abbiamo contattato telefonicamente il monregalese P. M., (ndr che dal 2018 studia in Cina) per fare il punto sulle disposizioni prese dai due paesi.

Quando hai deciso di andare in Cina e quali sono i motivi che ti hanno spinto a trascorrervi un periodo della tua vita?

«La mia esperienza in Cina è cominciata nel settembre del 2018. Al momento sono iscritto all’Università JiaoTong di Shanghai. Ho deciso di spostare la mia attenzione ad Oriente in quanto ero, e sono tutt’ora convinto, che la Cina abbia un grande potenziale di crescita se comparata ad altri paesi nel mondo. Inoltre, credo che nei prossimi anni i rapporti Italia/Cina si andranno rafforzando, rendendo perciò necessarie figure professionali che facciano da tramite tra le nostre due nazioni».

 Quando sei tornato in Italia?

«Sono rientrato ad inizio febbraio di quest’anno, nel momento di maggior attenzione nella crisi CoVid-19. Ovviamente, prima del ritorno in Italia, ho seguito una procedura di quarantena auto-imposta a casa e indossato la mascherina per tutto il viaggio di ritorno, dimodoché non potessi rappresentare un pericolo per la mia famiglia o per tutte le persone  incontrate nel periodo successivo al mio rientro».

 Come è stata affrontata l’emergenza Coronavirus in Italia e in Cina, le misure adottate sono simili? Sono state utili?

«Molti dei provvedimenti in vigore da oggi in Italia ricordano quelli adottati in Cina, ma in forma più “attenuata”. Le misure più immediate sono state il prolungamento della chiusura delle scuole su tutto il territorio e l’isolamento totale della città di Wuhan, identificata come epicentro del virus (nessuno entra e nessuno esce). L’isolamento è poi stato esteso a tutta la provincia dell’Hubei e ad alcune delle province limitrofe dove man mano si presentavano dei casi di contagio. Inizialmente le persone non erano neppure autorizzate ad uscire di casa, poi col passare del tempo è stato permesso ad un componente per nucleo familiare di recarsi nei supermercati per fare scorte di cibo e acqua.

Nel resto della Cina i provvedimenti sono stati più leggeri:

  • Isolamento domiciliare con permesso di un’ora ogni due giorni per far scorte di cibo;
  • Divieto di aggregazione e soppressione delle attività ricreative;
  • Chiusura/apertura controllata delle attività commerciali;
  • Fuori casa, obbligo di mascherine per tutti;
  • Controlli di temperatura in entrata/ingresso delle zone residenziali e dei luoghi di maggior aggregazione come aeroporti, supermercati, metropolitane…
  • Chiusura delle farmacie e divieto di vendita dei farmaci antipiretici;
  • Attivazione dello smart working in ambito lavorativo e corsi online in ambito didattico;

Inoltre, l’informazione ha giocato un ruolo importantissimo nel mantenere la calma e rassicurare la popolazione. Consigli su norme igieniche e di comportamento venivano ricordati giornalmente».

Com’è la situazione ora in Cina? 

«Incrociando le dita, sembra che la crisi in Cina stia ormai rientrando. Nella maggior parte delle città i focolai si sono spenti e il numero di guarigioni sta raggiungendo quello del totale dei contagiati (al netto dei decessi ovviamente). In queste città i blocchi e gli isolamenti verranno progressivamente revocati quando i rischi di contagio verranno giudicati abbastanza bassi. Ovviamente nelle regioni più colpite le misure di contenimento verranno mantenute ancora per qualche tempo».

 In che zona eri e come avete scoperto dell’emergenza sanitaria?

«Mi trovavo a Shanghai quando ho letto i primi articoli riguardo a questo nuovo virus. Dopo le prime avvisaglie, sono cominciate le comunicazioni governative sulle precauzioni da prendere per evitare i contagi, fino ad arrivare alla proclamazione dello stato d’emergenza nazionale. A quel punto la scuola ci aggiornava costantemente sulla situazione, richiedendo da parte nostra la compilazione giornaliera di una autocertificazione sul nostro stato di salute, sulla nostra posizione e sui possibili contatti avvenuti con persone infette».

Che differenze hai riscontrato (se ci sono) nel modo di affrontare e accettare le nuove disposizioni di sicurezza nei due paesi?

«Per come la vedo io, il popolo cinese ha sicuramente più riguardo e rispetto nei confronti del governo e delle sue disposizioni. Il partito ha messo in chiaro fin da subito la gravità del problema, instaurando misure drastiche per il contenimento e sottolineando l’importanza di una totale collaborazione da parte di tutti. Al contrario penso che in Italia la paura del virus abbia portato al sottovalutare il problema nelle sue prime fasi. Le disposizioni del nostro governo a mio parere sono arrivate un po’ in ritardo, ma sembra che in questi giorni gli italiani stiano prendendo coscienza riguardo la situazione. Più che imposizioni, le nostre disposizioni fanno appello al buonsenso di tutti. Si chiede di fare qualche rinuncia per il bene comune».

Quando sei tornato erano già in vigore i controlli negli aeroporti? Ti hanno sottoposto a qualche verifica particolare?

«Sono tornato poco dopo che l’Italia aveva disposto il blocco dei voli diretti da e per la Cina. Sono comunque riuscito ad arrivare a Milano facendo scalo a Mosca. Atterrati in Russia, il personale dell’aeroporto è salito sull’aereo per rilevare la temperatura dei passeggeri a bordo, dopodiché siamo stati autorizzati a scendere. Tutti a bordo portavano la mascherina. Sul secondo volo invece le mascherine erano sparite quasi del tutto, e all’atterraggio la temperatura è stata rilevata solo in aeroporto una volta sbarcati».