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Michele Ferrero ci ha lasciati cinque anni fa

L’immensa partecipazione popolare alle esequie fu l’ennesima testimonianza di quanto sia forte il cordone ombelicale fra la collettività, la famiglia e l’azienda

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Il 14 febbraio 2015 Mi­chele Ferrero ha concluso la propria esperienza di vita terrena. Il 26 aprile avrebbe compiuto 90 anni.
Non basteranno i de­cenni per attenuarne la memoria, figuriamoci il passaggio di appena un lustro da quel luttuoso evento che sta pur sempre nell’ordine naturale delle cose per l’umanità intera, seppure si auspichi av­venga in più tardi possibile, mentre assai meno rientra in que­sto àmbito la perdita di un figlio, come do­vettero sopportare il signor Michele e la sua compagna di vita, signora Ma­ria Franca. L’industriale dolciario ha lasciato tanti lasciti, materiali e in termini di insegnamento, non solo nell’àmbito aziendale e in quello familiare, che si può dire davvero sia tuttora e sempre con noi. La partecipazione corale al­le esequie che coinvolsero de­cine di migliaia di persone, autorità di rilievo, certo, ma an­che e soprattutto la collettività, appartenente o meno al novero dei collaboratori della “Ferre­ro”, dimostrò, come già era sta­to, quattro anni prima, per Pie­tro, come sia forte il cordone ombelicale che lega il territorio e chi lo abita al Gi­gante amico.
Per citare un altro momento tragico, lo stesso era emerso in occasione dell’alluvione del
no­vembre 1994 quando, e l’episodio è già nella storia non solo locale, centinaia di dipendenti, tanto operai quanto impiegati, dello stabilimento albese, di propria iniziativa, vi si recarono per ripulire la “loro” azienda, cosicché la pro­duzione riprese in tempi incredibilmente brevi.
Cordone ombelicale, Dna: so­no i concetti a cui non si può non ricorrere quando si parla dell’empatia manifesta, che addirittura si respira, fra l’area geografica in cui nacque il colosso dolciario che oggi guarda al mondo intero, l’a­zienda e la fa­miglia che la guida dalla fine della seconda guerra mondiale.
Ne parla anche Silvio Saffirio, campione del mondo della pubblicità nazionale, nel suo intervento nel libro “Michele Ferrero e l’alta Langa” edito dalla “U­niart” di Carlo Borsalino.
Ecco un brevissimo estratto: «(Michele Ferrero) diede vita, ed è sotto gli occhi di tutti, a un’impresa mondiale ramificata, utilizzando nei ruoli-chiave in prevalenza figure cresciute alla sua scuola. Persone solide e affidabili senza rischio di sorprese; di sperimentata capacità, iniziativa, autonomia e profonda sintonia con le visioni del signor Michele e i suoi temibili tempi di lavoro. Oggi che l’impresa “Ferrero” vive un’ulteriore fase della sua espansione, in un ruolo sempre più di vertice su scala globale, la formula d’origine sarà necessariamente aggiornata. Non ho dubbi, tuttavia, sul fatto che la “Ferrero” continuerà a esprimersi sempre in forme originali e ben distanti dalle formule standardizzate del “business” senz’anima. Con una sua etica, una sua filosofia, un suo linguaggio, una sua sintassi e un suo stile. Questo è il mio augurio con la certezza che mi viene dal fatto che questo è semplicemente il suo Dna. E ora parliamo di questo: del Dna che ogni impresa possiede pur se sappiamo che non tutti i Dna si equivalgono. Dove origina questa singolarità “Ferrero”? Dalla figura del signor Michele e prima an­cora dai suoi antenati, senza dub­bio. Ma, a mio parere, anche da una sua personale capacità di sintesi e di interpretazione del “ge­nius loci” delle Langhe e, in special modo, della Langa più a­spra e formativa: l’alta Langa».

Una storia di genio e generosità prima che industriale, esempio unico al mondo

Le vicende della “Ferrero” e quelle di Michele Ferrero sono, com’è ovvio, intrecciate in modo indissolubile le une con le altre.
La genialità e la sensibilità umana dell’imprenditore sono state trasfuse nell’industria e il frutto è una realtà che riunisce in sé una serie di positività che, tutte insieme, non trovano analogie nel resto del pianeta.
Sono positività che si traducono anche in un elevato livello di benessere, non solo economico, che coinvolge i territori in cui l’azienda opera, siano essi quelli della zona in cui è nata, o quelli in cui sono insediate le imprese sociali, oggi intitolate a Mi­chele Ferrero (in Sudafrica, Cameroun e India), o quelli dove sono stati realizzati gli stabilimenti nel resto della penisola e sono state create le filiali estere.
Sul sito istituzionale della consociata italiana del gruppo “Ferrero” si legge: «Dob­biamo riandare agli anni Quaranta per scoprire le radici di questo successo. Anni in cui Piera e Pietro, genitori di Michele, riuscirono a trasformare una pasticceria in una fabbrica. La famiglia Ferrero fu la prima in Italia, durante gli anni del dopoguerra ad aprire stabilimenti e sedi operative all’estero nel settore dolciario, facendo dell’azienda un gruppo veramente internazionale. Questi primi e decisivi passi avanti si devono ai prodotti “inventati” da Pietro Ferrero e dal figlio Michele, allora giovanissimo. Un altro fattore di successo fu l’efficiente rete di vendita organizzata da Giovanni, fratello di Pietro, mancato nel 1949. Dopo il successo dell’azienda in Italia, Michele Ferrero decise di iniziare a produrre e commercializzare i prodotti Ferrero anche all’estero. Nel 1956 fu inaugurato un grande stabilimento di produzione in Germania e un secondo poco dopo in Francia. Fu il preludio di una rapida espansione di “Ferrero” in Europa, con l’apertura di uffici commerciali e unità produttive in Belgio, Paesi Bassi, Austria, Svizzera, Svezia, Regno Unito, Irlanda e Spa­gna. Nei decenni successivi “Ferrero” divenne globale, espandendosi con nuo­ve aziende e siti produttivi in nord e sud America, sud-est asiatico, Eu­ropa orientale, Africa, Australia e, di recente, in Turchia, Messico e Cina».
Con Giovanni Ferrero questa strategia di espansione a livello globale è stata potenziata e davvero ormai “Ferrero” è un “player” mondiale che però, co­me più volte ribadito, non rinnegherà mai le proprie radici.
Radici nelle quali, ad esempio, risiede il ricordo dei convegni di studi sociali voluti da Michele Ferrero ad Alba fin dal 1961. Con quelle iniziative l’industriale dolciario volle mettere dei punti fermi a corollario del suo pensiero così attento fin dagli inizi, oltre che al buon andamento dell’azienda, al be­nessere dei dipendenti e, di conseguenza, dell’intera collettività e del territorio. è una costante che man mano si sviluppò lungo molte diverse direttrici, una delle quali è rappresentata dall’“Opera sociale Ferrero”, fondata nel 1983 e nel 1991 riconosciuta quale fondazione dal Ministero degli interni. A presiedere la fondazione “Piera, Pietro e Giovanni Ferrero”, diventata anche il motore propulsore di attività scientifiche, culturali e artistiche di rilevanza internazionale, è la signora Maria Franca Ferrero. Il direttore generale è Bartolomeo Salomone.

Un rapporto con il territorio che prosegue ancora

La città di Alba, ma anche la Langa e il Roero, coltivano il ricordo e la profonda
gratitudine verso il “Gigante amico” a cui devono molto dell’attuale benessere

La casa editrice “Uniart” di Carlo Borsalino ha pubblicato a inizio dicembre il libro “Michele Fer­rero e l’alta Langa-Un Uomo, un’Azienda, un Territorio, un Amore Senza Fine” curato da Clau­dio Puppione. Il volume, uscito anche in inglese, dopo i capitoli dedicati alla figura del “signor Michele” e alla filosofia imprenditoriale e umanistica da lui seguita sin dall’inizio, e dopo le testimonianze di alcuni di coloro i quali furono i primi a lavorare in azienda, è focalizzato sullo strettissimo rapporto, non interrotto dalla morte, fra il geniale industriale dolciario e il territorio. Se non è da meno il senso di gratitudine inestinguibile di  Alba, della bassa Lan­ga e del Roero, tuttavia il libro si sofferma in particolare sull’alta Langa. Il motivo è presto detto: i trentotto Co­muni di questa area geografica, coordinati dal­l’Unione montana presieduta da Roberto Bodrito e con l’appoggio del­l’Ente Fiera della nocciola guidato da Flavio Borgna, a un anno dalla scomparsa di Mi­chele Ferrero gli dedicarono ognuno un luogo pubblico. Lo fecero perché l’intelligenza e la ge­nerosità dell’imprenditore contribuirono in modo determinante a impedire lo spopolamento delle colline e allo sviluppo della corilicoltura.