Il bianco, il rosso e il “Nero”: nel Roero, il vino si sposa con l’allevamento (FOTO)

Da un'intuizione del vigneron Roberto Costa, il riconoscimento di una nuova razza suina

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E’ un animale raro, è nero, e può essere un’arma in più da far valere per far parlare di Roero. No, non è l’immaginifica pantera comparsa più sui giornali che non sulle nostre colline, nelle scorse settimane: quanto invece la razza suina nera piemontese che, dal 23 gennaio, è stata riconosciuta come razza identitaria dalla Commissione tecnica centrale del “Libro Genealogico”.

Si tratta, questa, di un’istituzione ufficiale attiva presso il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali: la quale ha “battezzato” il ceppo con i nomi di Nero di Cavour, Nero di Piemonte o Nero Piemontese.

Un riconoscimento che non accade tutti i giorni: e che, proprio tra le colline della Sinistra Tanaro, trova il suo fautore: Roberto Costa, contitolare della storica azienda agricola “Teo Costa” di Castellinaldo d’Alba, che all’opera di vigneron alterna un vero e proprio percorso di vita e di lavoro in cui la valorizzazione del territorio sta al centro di ogni discorso.

Questo risultato non è decisamente il frutto del caso: quanto, invece, l’ufficiale e naturale completamento di un cammino fatto di passione e anche di giustificabile appetito.

«Perché – come spiega Costa – la nuova razza ricostruisce le caratteristiche delle vecchie razze un tempo presenti in Piemonte e nella confinante provincia pavese, le storiche Cavour e Garlasco».

Non è stato da solo, in questa missione, il produttore roerino: potendo contare sull’apporto di un fitto gruppo di 8 allevatori piemontesi, e anche di Maurizio Gallo, a capo dell’Anas. Che non è, per una volta, il grande ente che cura le sorti della pubblica rete stradale italiana: ma bensì l’associazione nazionale degli allevatori di suini, che proprio come l’omonimo ente ha saputo asfaltare la strada che ha portato la storia del “maiale nero” sino a Roma.

Passando per le stalle degli allevatori di Piemonte e Lomellina, bussando alle porte della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino: chiedendo udienza, portando con sé le esperienze raccolte sul campo dalla famiglia Costa e da chi ha voluto scoprire e riscoprire il suino dalle tinte noir, trovando il supporto scientifico dell’ateneo taurinense grazie anche alla competenza del professor Riccardo Fortina.

Insieme, tutti: da un Roero che, a fianco delle linee dei filari e alle forme dell’uva, ora ha un nuovo emoji da mettere nella propria ideale bacheca. Ed è quello della massiccia bestiola dal mantello nero e dalla cute colore ardesia, con una mascherina bianca a muso, della stessa tinta con cui veste gli arti anteriori.

Della gente roerina condivide il temperamento ruspante: posto nelle condizioni di vivere e crescere allo stato brado o semibrado, con tecniche ispirate alla naturalità. A guardarlo, il “Nero” pare sorridere in una semi-inconsapevolezza sul suo destino in tavola: in un’espressione piacevolmente serena, la stessa che ricorre sin da quando venne proposto per la prima volta il prosciutto da qui derivato.

Era l’edizione 2019 del Vinitaly, a Verona: in un inedito faccia-a-faccia tra gli allora candidati alla presidenza della Regione Piemonte, Alberto Cirio e Sergio Chiamparino. Qui trovarono il modo di condividere sensazioni ed emozioni positive: uniti, per un giorno, nel segno dei vini “di casa” e dai sapori rustici delle carni cuneesi, roero-cavourrine.

Anche perché, quando si parla di Roberto Costa, bisogna sempre tenere ben presente un concetto: il cuore nel Roero, i piedi come allineati sul Tanaro che divide (e unisce) l’Albese, e il viso ben rivolto al mondo. Fu lui, tra i primi, a portare le telecamere delle tv nazionali nella zona: nel 2003, alla vigilia della sua salita a sindaco castellinaldese, inventando con l’Associazione Vinaioli il campionato europeo di bocce quadre: e, da primo cittadino, mandò in porto l’iter di ridenominazione del suo paese in “Castellinaldo d’Alba” per tendere la mano in senso storico e geografico alle realtà circostanti, consapevole di come “Alba” sia ormai un punto ben chiaro da individuare sul mappamondo.

Da leader degli stessi Vinaioli, Roberto Costa è stato poi l’uomo nella svolta nella valorizzazione del Barbera d’Alba Castellinaldo Doc: un vino con peculiarità tali da far unire le forze con i paesi vicini di Canale, Castagnito, Guarene,Govone e Magliano Alfieri, nel solco di un “uniti si vince” che va oltre le logiche di campanile e accetta la sfida mondiale.

Al punto di lanciarsi verso la Cina, sulla scia del progetto culturale “Vite ad Oriente” nato tra le stanze del castello reale di Govone, che già era patrimonio dell’Unesco: un piano, quest’ultimo, teso non solo a un “vendere” i vini nell’Oriente estremo, ma a creare sinergie reciproche anche parlando di cultura -come la “Strada del Barbera” che vedrà i filari percorsi di sculture imperniate sulla viticoltura e sulla musica- e territorio, con l’apporto, tra gli altri, del suo successore castellinaldese Giovanni Molino, del sindaco emerito di Barge Luca Colombatto e del senatore Marco Perosino, tanto per citarne alcuni.

Ora, una nuova tappa, con medesimo spirito di squadra: «La razza -dice Costa- trova menzioni storiche sino al 1927, nella pubblicazione “Zootecnia speciale” del prof. Ettore Mascheroni».  Dalla storia al presente, guardando al futuro, per nuovi orizzonti roerini e piemontesi.

Paolo Destefanis