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Amadeus, vittima sacrificale di Sanremo 2020

Il festival raccontato da Gian Maria Aliberti Gerbotto che lo frequenta da oltre quattro lustri

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Il Festival di Sanremo 2020 sta partendo tra mille polemiche. Insom­ma, nel modo migliore possibile e nella classica tradizione festivaliera. D’altronde, come ha ironizzato Luciana Littizzetto, con un programma trasmesso da un teatro che si chiama come u­na lavatrice, è ovvio che sia facile, poi, finire nella centrifuga.
Io direi meglio: “nel tritacarne”, ma non reggerebbe la battuta.
E così è successo, immeritatamente, al conduttore designato per questa edizione, Amadeus.
Prima è stato tacciato di sessismo, poi costretto a fare i conti con il “rapper” con la maschera che tutti volevano espellere per via delle sue vecchie canzoni, quelle sì, sessiste per davvero.
E infine ha dovuto combattere con ospiti che si defilano, e con mille altri scandali e conseguenti grattacapi.
Ma, per fortuna, in tutta questa baraonda la gente si diverte e l’eterno carrozzone va avanti. E così fa da settant’anni, tra alti e bassi, ma pur sempre in grande spolvero. Perché Sanremo è uno spettacolo dai mille spettacoli dentro lo spettacolo, fatti di di­scussioni infinite e colpi di scena. Questa è la sua forza!
Anche perché, diciamoci la verità, delle canzoni alla gente non frega nulla. Sanremo è una “kermesse” a tutto tondo che va oltre la musica ed è capace di catalizzare l’attenzione mediatica come null’altro.
è un evento televisivo che unisce o divide gli italiani alla stregua di una partita della nazionale. Se tutti, quando ci sono i mon­diali, ci improvvisiamo ct, allenatori, “goleador” e via di­scorrendo, durante il festival ci scopriamo tutti critici musicali.
E’ un vezzo tipico degli italiani, provetti cuochi spiaggiati sul divano intenti a giudicare i concorrenti di “Masterchef” in tv.
A chi, invece, si indigna per i “cachet” esorbitanti prospettati per i superospiti, bisognerebbe ricordare che Sanremo, sul piano economico, resta un affare senza fine! E non sono certo i 100.000 euro di Roberto Benigni a mutare il bilancio di una manifestazione che ci costa milioni di euro (si dice una quindicina), ma che ne frutta almeno il doppio.
Insomma un “business “colossale. Un salvagente per la televisione di Stato che non ha eguali.
Saranno solo canzonette, ma, se fossimo in Inghilterra, queen Elizabeth II avrebbe già conferito il titolo di baronetto a chi ha inventato una simile manna dal cielo, così come fece con i suoi “Beatles” quando con le vendite dei loro dischi risollevarono non di poco l’economia britannica.
Ma andiamo per ordine e ritorniamo al povero presentatore.
E sottolineo povero perché Ama­deus, agnello sacrificale di questa edizione, non meritava e non merita certe accuse.
E non lo dico per simpatia o piaggeria, ma per cognizione di cau­sa. C’ero quando, durante la pri­ma conferenza stampa, presentandoci Francesca Sofia No­vello (chi?) pronunciò le parole ingiustamente incriminate: «Una don­na che ha sempre saputo stare un passo indietro a un grande uo­mo». A dire il vero, subito non mi sono reso conto dell’attaccabilità della frase, perché (permettetemi la frecciatina ai colleghi che spesso, più che i giornalisti, dovrebbero fare al massimo i giornalai) tutto è puro per i puri.
Per quel che conosco il presentatore, io che l’ho intervistato più volte nella mia carriera, sia nei dieci anni con “Vanity fair”, sia poi scrivendo di tv per il settimanale “Telesette”, vale assolutamente l’“absit iniuria verbo”.
Quella descrizione era soltanto il giusto modo di fornire notizie chiare a tutti quei giornalisti im­preparati che, vedendola lì, si chiedevano chi fosse. Fidanzata da anni con il campione di motociclismo Valentino Rossi, non è una di quelle arrampicatrici so­ciali che siamo abituati a vedere in tv, pronte a esibirsi solo perché sono “la ragazza di”, pronte a cavalcare l’amore o il “flirt” di turno pur di apparire e farsi poi strada (forse) nel mondo dello spettacolo. Non ha mai approfittato della sua posizione per a­vere un tornaconto di visibilità.
Ciò intendeva dire il mio carissimo Amedeo Sebastiani. Tutto qui. E il sessismo c’entra nulla.
Ma veniamo alle canzoni.
Già, perché in tutto l’enorme calderone, questo girone dantesco dalle sfumature spesso felliniane, ci sono anche le canzoni.
Poco importa, lo so. Se ne po­trebbe anche fare a meno, perché qui ciò che conta davvero e fa i numeri è il contorno.
Anche se la musica e i brani so­no, anzi, diciamo meglio, do­vrebbero essere, il piatto forte.
Fa specie leggere in una ricerca uscita da poco che durante le esibizioni dei cantanti in realtà l’“audience” cali di brutto.
La gente approfitta della sonata di turno per fare un po’ di “zapping”, per capire che co­sa si sta perdendo sugli altri canali, mentre assiste al solito “tran tran” televisivo che non finisce più, che ti costringe a fare le ore piccole solo per poter di­scuterne l’indomani con gli a­mi­ci del bar, senza sentirsi escluso dalla chiacchiera del momento. Perché Sanremo è Sanremo e lo si deve vedere anche solo per poter dire: «Io c’ero».
Devo confessarvi che io, comunque, adoro Sanremo perché per me è sempre anche l’occasione giusta per sentire tutti quei pa­renti e “amici” che non sento mai. Orde di opportunisti che ti chiamano solo per scroccarti un posto in prima fila all’“Ariston” senza sapere che i biglietti che ci danno sono nominativi e non pos­sono essere ceduti. Ma che quando ti chiamano, prima che tu abbia il tempo di spiegarglielo, ti riempiono di complimenti re­galandoti un’iniezione di autostima così grande che ti resta ad­dos­so almeno fino a carnevale.

Tra “Femme fatale”, youtuber, divetti creati dai “talent” e l’attesa spasmodica delle “gaffe”…

A Sanremo, a volte, più che gli artisti, in realtà quello che stuzzica è vedere la val­letta di turno. Come sarà vestita. E so­prattutto se farà delle “gaffe”.
Chi segue il festival spes­so appartiene alla stessa specie dei telespettatori che sbirciano il gran premio di Formula 1 solo per vedere se ci scappa l’incidente o, me­glio ancora, il morto.
Qui si aspetta che qualcuno inciampi sulla mitica scala che spesso contraddistingue la scenografia del programma.
E se la storta alla caviglia non arriva, al­lora ci si accontenta dell’impappinamento di vallette indubbiamente bellissime, ma che spesso nei loro “curriculum” possono vantare al massimo di aver fat­to le ballerine alla radio.
Insomma, bellezze che non sanno fare nulla. “Femme fatale”, “tout-court”.
Oppure fenomeni da “social”. Youtuber. Influencer (?). O modernerie simili.
Si fissa lo schermo aspettando quella pa­­pera che immancabile arriva con grande soddisfazione generale dei telespettatori che tanto la bramavano.
Una figuraccia che ti ripaga di tante ore passate ad abbassare il volume ogni volta che parte un brano per poi rialzarlo appena compare qualcuno che non canti.
Perché guardare il Festival di Sanremo è roba da duri.
Gente che non si stufa alla prima canzonetta stonata o che si addormenta alla prima melodia. Spettatori disposti a buttare giù caffè a manetta per non sentirsi impreparati, quando su Facebook uscirà il primo “me­me” sulla “gaffe” della serata.
Così lo capiranno e sorrideranno alla battuta. Potranno così po­stare i commenti e si sentiranno uomini e donne medi, perfettamente integrati nella società di milioni di persone che, vivaddio, guardano il festival.
Perché c’erano, davanti allo schermo e l’hanno guardato tut­to, anche se non piace loro.
Se, infine, devo esprimere un mio parere come giurato, visto che ormai faccio parte della giuria della sala stampa del festival da credo più di vent’anni, ecco, preferirei non farlo.
Come dicono i più odiosi dottori per togliersi dall’impiccio: la prognosi è ancora riservata.
Il podio dell’“Ariston” dell’anno scorso ha segnato uno spartiacque che adesso mi fa propendere in tal senso.
Spesso accusati di votare sempre le solite canzoni, prediligendo Mahmood a Ultimo, cercavamo di dare una svecchiata al Fe­stival di Sanremo.
Ma la cosa sembra non essere stata compresa, né gradita.
Tanto che per l’edizione 2020 siamo stati messi in una sorta di castigo e non ci sarà più permesso di votare tutte le serate, ma solo alcune. Per le altre vigerà il voto da casa.
Leggendo la lista dei cantanti in lizza, l’unica cosa che non capisco proprio è la (ri)discesa in campo di Rita Pavone che vedrei assai meglio sul palco come “special guest”, ospite d’onore, ma non come artista in gara a fianco di cantanti che potrebbero esserne i nipoti sia anagraficamente che musicalmente, personaggi di­scussi e discutibili come Elettra Lamborghini, che più che cantare sculetta il suo bauletto basculante, o qualche in­sulso divetto uscito da un “talent” qualunque. g.m.a.g.

BaNNER
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