“Il IV Novembre si celebra una vittoria: trascurarlo è un oltraggio ai 231 braidesi che hanno combattuto la Grande Guerra”

Lettera aperta dell'avvocato Francesco Dallorto che si rivolge al sindaco di Bra: "Si mutila il 4 Novembre celebrando soltanto l’Unità Nazionale e le Forze Armate". RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

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(foto Danilo Lusso - Ideawebtv.it)

Preg.mo Sig. Sindaco,
plaudo alle iniziative con cui l’amministrazione comunale ha onorato il centenario della Vittoria italiana nella prima guerra mondiale, in particolare all’installazione dei due tricolori sulla rotonda di Viale Rimembranze ed al restauro delle targhe sui cippi dedicati ai caduti braidesi, manifestazioni tangibili d’interesse verso un capitolo di storia spesso relegato a commemorazioni di circostanza, intrise di retorica faziosa e fuorviante. Come quelle di coloro che ricordando i caduti d’una guerra provano disagio ad enunciarne l’esito, ancorché favorevole ai propri connazionali.

Mi stupisco in particolare di come si possa affermare – come Lei ha fatto nel discorso dinanzi al monumento in Piazza Roma – che il 4 Novembre di cento anni fa “l’Italia ed il mondo impazzirono di gioia dinanzi alla fine della grande guerra”. Escludo che una parte di mondo, in particolare gli sconfitti, si trastullassero sulla via della ritirata. Impazzirono di gioia semmai i vincitori e gli irredentisti, delle cui imprese oggi si tende ad annacquare la memoria; impazzirono di gioia le ragazze di Trieste, rese famose dalla canzone popolare “La campana di San Giusto”.

Mi preme rammentarLe come il bollettino della vittoria – di cui v’è una riproduzione anche nell’atrio del nostro municipio – narri d’una vittoria conseguita da un esercito, quello italiano, chiamato al proprio primo cimento bellico dopo l’unità nazionale, e di armate, quelle dell’Esercito Austo-Ungarico, “annientate”.

Ritengo deplorevole mutilare il 4 Novembre celebrando soltanto l’Unità Nazionale e le Forze Armate. Il 4 Novembre, dal 1919, si celebra una vittoria; trascurarlo è un oltraggio nei confronti di tutti i caduti italiani, in particolare dei 231 braidesi che sino all’anno prima la guerra l’avevano combattuta. E non certo per puro spirito decubertiano, ma per vincerla, immolando le loro vite per sconfiggere un nemico e tracciare indelebilmente i limiti entro i quali l’Italia esercita la propria sovranità.
Comprendo che questi che precedono, per certuni, siano termini poco graditi; occorre tuttavia rammentare loro come la Costituzione che spesso brandiscono contro chi vi fa ricorso, a mo’ di retaggio, onde avvalorare quel po’ d’egemonia culturale superstite dopo ottanta anni di mistificazioni, la sovranità la preveda, e la attribuisca al popolo.

In un contesto apparentemente appacificato, ove le guerre si combattono non più in trincea, ma su conti cifrati, attraverso manovre speculative, ove gli unici confini davvero invalicabili sono quelli dei paradisi fiscali, il sacrificio degli avi che senza distinzione di censo e di ideologia si sono immolati sul Monte Grappa, sulle pietraie del Carso e sul Piave ci ricorda che la difesa della Patria, dovere “sacro” sancito dall’art. 52 della Costituzione, è molto più attuale di quel che sembra. Ed oggi a mio avviso s’adempie contrastando qualunque entità che pur senz’armi intenda sostituirsi allo stato nell’esercizio di quell’egemonia, suprema, che ancora gli appartiene, in via esclusiva, e che deve esercitare, entro i propri confini, a beneficio del proprio popolo ivi stanziato.

Francesco Dallorto – Bra