Partita la stagione dell’alpeggio: nei pascoli delle valli piemontesi 50 mila bovini e centinaia di greggi

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Le ultime mandrie hanno preso la via della montagna, nel festoso concerto dei campanacci.

Nei giorni di San Giovanni, come vuole la tradizione, si completa il rito dell’alpeggio che in Piemonte interessa quasi 50 mila capi bovini e centinaia di greggi.

Quest’anno la monticazione risente dell’andamento climatico negativo. Piogge prolungate e frequenti nevicate in quota – com’era successo nel 2013 – hanno costretto i malgari a rinviare di qualche settimana l’accesso alle località d’Alpe.

E per salire ai pascoli più alti, bisognerà aspettare che il caldo sole alpino favorisca lo sviluppo di un erbaggio adeguato.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere, osserva Battista Camisassa, capo area dell’Arap per la provincia di Cuneo.

“L’anno scorso gli alpeggi sono stati falcidiati dalla siccità e molti dei nostri marghè sono scesi già ai primi di settembre. La fresca estate 2018 – sottolinea Camisassa – dovrebbe assicurare erba a volontà e garantire una permanenza fino all’inizio autunno”.
C’è stato molto lavoro nelle scorse settimane per gli uffici dell’associazione allevatori, che si è fatta carico delle complesse operazioni per l’emissione del “modello 7” relativo all’accesso ai pascoli e al conseguente riconoscimento dei contributi Pac. “Dopo qualche inevitabile disagio – spiega Camisassa – dovuto anche alle numerose pratiche per la sicurezza e profilassi sanitaria, tutto è filato liscio. Sotto il profilo della tracciabilità si è fatto un passo avanti importante a vantaggio degli stessi allevatori”.
Nel Cuneese sono circa 350 le località d’Alpe – dalle Marittime al Monviso – destinate alla transumanza, con un movimentazione di circa 30 mila bovini, in gran parte di razza piemontese, accompagnati da 300 malgari più vari famigliari e collaboratori: in tutto, un piccolo esercito di mille persone che trascorrerà i mesi estivi sotto le vette.

Anche nel Torinese l’alpeggio ha numeri significativi. Ne parliamo con il capo area Arap Pietro Paletto: “Da un primo conteggio sono saliti in quota oltre 10 mila capi bovini. In alta Valsusa, accanto alla Piemontese, notiamo una buona presenza di Barà Pustertaler, la razza rustica per eccellenza.

Da Lanzo a tutto il Canavese a primeggiare sono le Pezzate Rosse Valdostane che vengono accompagnate ad alpeggiare nella Valléè.

E poi c’è il fenomeno dell’alta valle Pellice, il regno degli ovini dove vengono mantenute vive le razze in via di estinzione, quali la Frabosana-Roaschina, la Biellese, la Taccola”.
Cambiando territorio, entrano in scena ulteriori razze vocate alla monticazione, come la Pezzata Rossa d’Oropa nel Biellese e Valsesia e la Bruna Alpina originale nelle valli Ossolane.

Qui è Michele Traverso il capo area dell’associazione regionale allevatori che segue l’attività locale. “Nelle aree montane orientali abbiamo almeno cinquemila capi già al pascolo, sparsi dalle malghe nell’area del Monte Rosa alle sette valli che si schiudono da Domodossola, in particolare la val Vigezzo e Formazza, terre alte note anche per il famoso formaggio Bettelmatt lavorato dai malgari e fatto stagionare a lungo.

Una piccola enclave di alpeggi a quota più bassa è ai confini tra la provincia di Alessandria e la Liguria, sulle alture di Ronco Scrivia e in val Curone. Una tradizione locale che gli allevatori dell’Appennino vogliono salvaguardare assieme a questi territori sfavoriti e sempre minacciati da dissesti idrogeologici”.

Un piccolo mondo antico che guarda avanti. La transumanza alpina, infatti, non è soltanto il trasferimento delle mandrie in montagna. Puntualizza Tiziano Valperga, direttore Arap: “L’alpicoltura è in primo luogo cura dell’ambiente montano e conservazione delle essenze foraggere pregiate, tenendo conto dell’equilibrio tra leguminacee e graminacee.

Di qui la necessità di mantenere un corretto rapporto tra pascoli e mandrie, tra numero degli animali e la superficie, con l’uso di recinti, piste, ricoveri. Altro punto fondamentale è l’esigenza di assicurare i punti d’acqua ai bovini, che non devono essere costretti a lunghi e pericolosi percorsi per dissetarsi.

Per fortuna – sottolinea Valperga – i nostri marghé sono depositari di conoscenze e tecniche apprese dai padri e costantemente supportate dalle innovazioni tecnologiche. Dal loro lavoro deriva il benessere dei bovini e la valorizzazione della razza Piemontese e delle altre razze bovine, ovine e caprine che costituiscono il patrimonio zootecnico della nostra regione”.