Tradizioni legati al mondo del Fassone: modi di dire e riti

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L’arrivo del commerciante in cascina per acquistare i capi di bestiame pronti per la vendita, che fossero “mangiarin”, manzette o “bei Fassoni” già finiti, era sempre un momento solenne per la ritualità della trattativa che immancabilmente accompagnava l’intera operazione. Ogni passaggio, era infatti sottolineato da un linguaggio fiorito usato dalle controparti per esaltare o denigrare l’animale oggetto della contrattazione.

 

Intorno a questa “liturgia” tipica nel mondo della razza Piemontese, retaggio di generazioni di allevatori che hanno dato lustro alle qualità del Fassone, Bartolomeo Bovetti, direttore della cooperativa Compral Carni, ha messo insieme un florilegio di suggestivi “modi di dire”. Si tratta di locuzioni, battute, definizioni, sottolineature che costituiscono nel loro insieme una piccola e gustosa antologia.

 

Il “gioco delle parti”, in fondo, era anche un “rito”, sia per chi vendeva che per chi comprava. Dava modo infatti, quella lunga e pittoresca negoziazione, di manifestare astuzie e prudenze, con l’uso di innocenti “trucchi” per aumentare una richiesta o per giustificare un’offerta più bassa. A contorno delle parole, c’erano poi i gesti ugualmente rituali che scandivano la giornata.

 

Il commerciante ormai conosceva bene la famiglia e non mancava di presentarsi con un cabaret di paste dolci per imbonirsi la massaia e i “cit” di casa. E il patriarca della cascina, tra un sopralluogo nella stalla e le prime schermaglie sul prezzo, si sentiva in dovere di stappare una bottiglia “di quello buono”, per favorire il clima del mercanteggiamento.
Nota il dottor Bovetti: “Alcuni aspetti di quella tradizione sono andati persi perchè le vecchie cascine sono diventate fattorie modello, il computer è entrato in azienda e i ragazzi che un tempo erano avviati al pascolo fin da piccoli, oggi studiano e vanno all’università. Anche la categoria dei commercianti ha cambiato pelle e forma, le tecniche si sono affinate e di conseguenza il linguaggio si è modificato. Ma è pur vero – sottolinea il direttore Compral Carni – che quel gusto di contrattare è rimasto, e i figli e nipoti dei patriarchi di una volta non hanno perso la verve dialettale. Per cui alcuni modi di dire persistono, e li sentiamo echeggiare sulle piazze delle fiere e alle mostre della Razza Piemontese”.

 

Veniamo al sodo. Ecco un primo elenco tratto da questa antologia del mondo Fassone, un glossario commentato da un esperto di lungo corso qual è il dottor Bovetti, per quarant’anni responsabile dell’associazione allevatori di Cuneo.
Intanto una premessa.

 

Per Fassone si intende comunemente un toro o vitellone della coscia, che presenta la caratteristica ipertrofia muscolare detta “groppa doppia” (dovuta a una mutazione genetica naturale della Razza Piemontese di fine Ottocento).  Il Bue grasso è l’esaltazione finale e conclusiva di questa caratteristica in capi bovini adulti di almeno cinque anni, messi a riposo e ingrassati con “menu” speciali negli ultimi mesi, pronti a essere battuti alle aste prima di Natale.
I bovini “non Fassoni” sono detti Nostrali, di minor valore commerciale.

 

Turgia. E’ la vacca a fine carriera, che a conclusione di una più o meno lunga  stagione riproduttiva viene destinata alla macellazione. In alcune zone del Piemonte la sua carne viene utilizzata per la produzione di un particolare salume, ricercato dai gourmet, detto appunto di turgia nelle Valli di Lanzo e salame di Giora o Giura a Carmagnola. 
Prunta. Così viene definita in piemontese la vacca gravida (pronta in italiano). Per l’allevatore rimane importante conoscere i segnali della vacca prossima a partorire per determinare se ha bisogno di assistenza oppure no, e per comprendere i segni fisici e fisiologici.
Straporta. E’ la vacca più che pronta, oltre il termine di gestazione che va dai 28o ai 290 giorni.
A’ pista. (Pesta con le zampe). Sempre riferito alla vacca gravida, il termine dialettale sta a significare l’agitazione immediatamente precedente al parto, con un forte trapestio amplificato dagli zoccoli.
Passiamo ora a una serie di modi di dire legati alla compravendita nel mondo del Fassone.
Giust. E’ il capo giusto・ nel senso che ha i requisiti per essere considerato un anmale pronto per la vendita. Un sinomino del termine Fin (finito): non c’è  più nulla da aggiungere, mano al portafogli.
Fiuri. In italiano fiorito, un’iperbole del capo giusto, con quel qualcosa in più che l’allevatore vuole monetizzare nella trattativa.
Elegant. L’eleganza del capo un’ulteriore accentuazione della compiutezza del bovino perfetto: un tocco di classe in più da spendere nella contrattazione.
Mambru. Termine di incerta etimologia, definisce un capo bovino grossolano, trasandato, e quindi da deprezzare. Si potrebbe trovare un riferimento traslato nella canzoncina popolare spagnola che ricorda le gesta del terribile condottiero inglese John Churchill duca di Marlborough (1650-1722), lontano avo dello statista Winston Churchill: Manbru se fue a la a, mire usted, mire usted, que pena poi ripresa dai soldati francesi (Marlbroug s’en va-t-en guerre) nelle campagne napoleoniche che, come è noto, ebbero profonda influenza in Piemonte.
Serpent. Il serpente nella cultura contadina da sempre visto come animale infido, pericoloso, maledetto dal Cielo. Nella specifica accezione, l’epiteto affibbiato dal commerciante al bovino sospettato di essere difettoso.
Pecatur. Magistrale trasposizione lessicale, derivata dai Vangeli, per condannare
un animale palesemente difettoso, magari con un solo piccolo difetto, ma comunque peccatore. Il verdetto del commerciante provocava un inevitabile ribasso rispetto alla cifra sperata i peccati vanno lavati quindi giù il prezzo.