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«Persone al centro dell’innovazione e idee per il futuro»

La ricetta di Alberto Bertone per tenere in alto Acqua Sant’Anna: «C’è un filo conduttore»

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Ventisette anni fa il percorso im­pren­ditoriale di Al­berto Bertone, presidente e ad di Acqua Sant’An­na, ha preso il via dalle fonti di Vi­nadio. Una crescita continua: «Mi pongo sempre il problema di dover guidare altre persone, sono l’allenatore di una squadra che deve essere la migliore. I robot sono importanti, l’intelligenza artificiale è già fondamentale. Ma senza le persone non si potrebbe andare avanti».

Il motto potrebbe essere: tecnologia e umanità?
«I miei genitori mi hanno tramandato il rispetto per le persone. Un anno fa decisi di assegnare uno stipendio in più ai dipendenti in un momento di crisi. Aumentavano i costi e ai livelli più bassi bisognava fare qualcosa. Feci preparare immediatamente la busta paga. L’iniziativa fu così apprezzata che altri imprenditori hanno fatto altrettanto».

Il welfare ha toccato anche le relazioni familiari dei vostri dipendenti. In che modo?
«C’erano molte separazioni, un segnale di disagio che meritava di essere approfondito. Tre i temi: primo, le difficoltà economiche e le relative tensioni; secondo, le ripercussioni psicologiche in famiglia; terzo, la tendenza a lasciarsi andare anche sul piano dell’alimentazione. Abbiamo portato un aiuto con consulenze nella gestione economica, insegnando a non ce­dere il quinto per andare in vacanza, a ritrattare un mutuo. Ogni famiglia è come una piccola azienda. Poi abbiamo coinvolto dietologi e nutrizionisti per far capire quanto sia importante mangiare bene, siamo intervenuti per l’acquisto di cibo di qualità, più salutare».

Ed è servito?
«I dipendenti hanno mostrato maggior attaccamento nei confronti dell’azienda. Per noi è naturale stare vicino ai lavoratori. Negli anni anche in Vallata ci sono stati problemi di disagio sociale, i giovani sono rimasti vittime di un senso d’abbandono magari dovuto a uno scarso dialogo nelle famiglie. Il mio lavoro d’imprenditore mi porta a essere anche un po’ psicologo e mi spinge, quando è il caso, a intervenire».

Le cose sono cambiate?
«Sì, ma l’attenzione deve restare alta. Continuiamo a seguire l’aspetto alimentare, acquistando cibi meno calorici e promuovendo attività di squadra. Abbiamo svolto team building, ad esempio con i kart. E nello stabilimento proseguono le cene estive e invernali, con il coinvolgimento delle famiglie».

Per alimentare anche le idee?
«Mi piace l’innovazione, amo le persone creative. Ne conosco e le coinvolgo nelle attività a Vinadio. Cerchiamo di immaginare le tendenze del futuro, i “megatrend” che influenzeranno le nostre scelte in tutti i settori. Non ho la pretesa di insegnare nulla, ma è importante entrare nel flusso delle idee. Poco alla volta tutti i miei collaboratori, anche i più giovani, entrano in questo meccanismo e producono idee».

Ma c’è anche l’intelligenza artificiale.
«Ed è al centro dei nostri investimenti. Il servizio reclami è ormai gestito dall’Ia, così come il ricevimento tir. Inoltre i bot ci aiutano nelle ricerche di marketing».

E si arriva al prodotto…
«Tutto è unito da un filo conduttore. Riflettiamo sulle innovazioni anche per capire se nel mondo ci siano prodotti nuovi che possono avere successo anche qui. Pensiamo agli alimenti funzionali: non solo acqua da bere ma ad esempio con aggiunta di collagene per la cura della pelle. E ora produciamo l’acqua con proteine. Il nostro business resta l’acqua minerale, anch’essa funzionale perché minimamente mineralizzata che – con pubblicità comparative – abbiamo dimostrato essere più leggera, adatta nei casi di calcolosi e per la preparazione degli alimenti dei neonati».

Perché l’acqua con proteine?
«Ha una funzione per gli sportivi: i muscoli si nutrono solo di proteine, non di calorie. Poi sono utili per chi segue un’alimentazione con basso apporto proteico e per gli anziani che mediamente mangiano meno carne. In questo momento ogni supermercato ha scaffali pieni di pasta, latte o appunto acqua con proteine».

E la vostra acqua fruttata?
«Mi stupisce che in Italia ci sia solo una piccola nicchia. Può essere un’alternativa alle bibite gasate».

Veniamo al packaging green…
«Vent’anni fa siamo stati pionieri del biodegradabile. Per la plastica sentivamo già l’esigenza di trovare alternative. Dopo vent’anni, costa un po’ di più e come nel caso delle auto elettriche, senza incentivi si fa difficoltà ad imporla. Nel nostro campo poi non esistono incentivi. È materia fluttuante, in regime di monopolio il costo aumenta. Quindi, dopo aver spinto per tanti anni, ultimamente abbiamo capito che non si potevano più sopportare gli aumenti. Però il riciclo delle plastiche è andato avanti così tanto che l’esigenza di avere una bottiglia che si biodegrada non è più al primo posto. Ora la bottiglia è riciclabile, ci siamo uniformati al mercato seppur continuiamo a fare bottiglie bio. Ma i costi sono elevati. Invece la plastica che ricicli ha costi bassissimi rispetto a vetro, tetrapak, alla stessa bio e altri materiali. Davanti allo scaffale, tutti guardiamo al portafoglio».

Il vostro rapporto con Vinadio?
«Siamo molto legati al territorio, è dove nasce la risorsa principale e avendola in concessione la proteggiamo. Ahimè, come tutte le produzioni industriali, impattiamo con i ca­mion. Ci sarebbe una soluzione se esistesse la famosa Variante, ma è dal nostro primo investimento che se ne parla. Il collegamento al Colle del Mer­cantour non è stato fatto e neanche la Variante di Demonte. È un problema della politica. Ciò che ho proposto – e che vedo negli altri Paesi – è la ferrovia: si potrebbe fare un hub nello stabilimento, saremmo pronti a investire (all’estero ci pensano le istituzioni) perché i treni costano meno delle strade. E i vagoni li vedo elettrici con celle di idrogeno come in Svizzera».

Un sogno?
«Realizzabile: avere il treno a Vinadio e caricare la merce direttamente su ferrovia. Che poi è già il più grande vettore logistico con cui trasportiamo l’acqua verso Roma e il sud».

Esiste anche un mercato ver­so l’estero?
«È difficile esportare ac­qua. In Europa le minerali sono in mano ai brand delle multinazionali e i costi di trasporto so­no barriere che fanno la differenza».

Avete appena annunciato una collaborazione con il Politec­ni­co di Torino.
«Ci teniamo a collaborare con le intelligenze, nel 2003 è scaturita l’idea dei carrelli robotizzati e dello stabilimento automatizzato mai applicata prima ad un’azienda alimentare, adesso studiamo le modalità per dialogare al meglio con i robot. E soprattutto dobbiamo cominciare a utilizzare i nostri dati per curare le manutenzioni e capire i consumi, i gusti del mercato. È un’analisi importante che dobbiamo fare».

Qual è il futuro dell’acqua mi­nerale?
«Si va verso una concentrazione. Oggi ne abbiamo 350 in Italia e all’estero 200 un po’ in tutti gli stati, ogni fonte ha una capacità più elevata rispetto alle vendite. C’è concorrenza spietata, il bisogno di efficienza a costi bassi per fare numeri. In Italia i primi 5 produttori controllano l’80% del fatturato. Noi ci guardiamo intorno per acquisire altre aziende ed espandere il nostro know how. Non è semplice convincere l’interlocutore che uno scambio azionario sia necessario per la vita di entrambi. Ma quello delle connessioni è il futuro».

BaNNER
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