Moretti racconta l’eredità morale per i nostri figli

Con “Tre piani” a Cannes il regista ha ricevuto applausi, ma nessun premio dalla giuria. «Le donne provano a sbloccare questa realtà»

0
279

«La pandemia ha dimostrato che non possiamo fare a meno degli altri», l’aggancio all’attualità alla fine l’ha trovato. Nanni Moretti aveva rinviato l’uscita del suo ultimo film più di una volta (proprio per gli imprevisti creati dal Covid), ma alla fine il concetto alla base del racconto ha trovato coincidenza nella realtà. Che poi a Cannes non abbia trovato il riscontro sperato, è un altro discorso. Ha però trovato il riconoscimento della collega francese Julia Ducournau, vincitrice con il discusso “Titane”, che ha paragonato proprio il suo film a quello di Moretti: «Parlano entrambi di paternità», ha detto, senza convincere troppo la critica e il pubblico. L’altro riconoscimento era comunque arrivato proprio dagli spettatori della prima al festival della Costa Azzurra, in coincidenza con la finale dell’Europeo di calcio a Wembley. Undici minuti di applausi sulla scia del trionfo azzurro, che poi sono stati ridimensionati dal giudizio contrastato della critica e dalla sostanziale bocciatura da parte della giuria di Spike Lee.
“Tre piani” arriverà nelle sale cinematografiche a settembre, resta da vedere quanta fortuna avrà. Moretti è sempre stato un regista di qualità, non proprio amato dal grande pubblico (anche per la sua aurea da intellettuale elitario), ma apprezzatissimo da­gli appassionati, dai cultori del cinema. L’ul­timo lavoro ha se­gnato una piccola svolta rispetto al passato, non era mai ac­caduto che il soggetto di una sua opera fosse firmato da un altro autore. Inoltre la storia, tratta da un romanzo, è stata trasferita dall’ambientazione originale di Tel Aviv all’immancabile Roma, in un quartiere borghese, e si snoda attorno a tre famiglie che abitano nella stessa palazzina. Si tratta della coppia di giudici Doria e Vittorio (ovvero Margherita Buy che affianca proprio Mo­retti), Lucio e Sara (interpretate da Riccardo Sca­marcio ed Elena Lietti), Monica e Giorgio (Alba Rohrwacher e Adriano Giannini).
Non ci sono battute destinate a entrare nella storia, tipo “Le parole sono importanti!”, ma una narrazione volutamente asciutta e scarna. «Si parla poco di cosa lasceremo ai nostri figli in termini etici e morali. Le nostre azioni sono quello che noi lasciamo in eredità a chi viene dopo di noi», ha detto a Cannes il regista. E anche questo è un bel tema d’attualità: cosa resterà di questa follia pandemica in termini di lascito generazionale? Il film è una fotografia di quanto sta accadendo. «I temi sono universali: la colpa, le conseguenze delle nostre scelte, la giustizia, la responsabilità d’essere genitori. I personaggi sono fragili e spaventati, sono mossi da paure, da ossessioni e spesso compiono azioni e­streme», spiega Moretti. Un’altra illuminazione ri­guarda le donne: «Sono loro che cercano di sbloccare le cose. Sono più aperte e han­no reazioni più sane. I personaggi maschili restano fermi, bloccati nei loro ruoli, tra rigidità e schematismi».
Forse, come detto, mancano i guizzi dei primi anni, ma l’approfondimento è tutt’altro che banale, in linea con la solita capacità di evidenziare tic, atteggiamenti, tendenze, di raccontare vita. Con sarcasmo, contro i luoghi comuni.
Di strada ne ha percorsa dal suo primo lungometraggio dell’ormai lontano 1973, “Io sono un autarchico” con lo storico personaggio alter-ego di Michele Apicella. Un esordio fortunato, un grande successo. Che aprì la strada ad altre rivelazioni, da “Ecce bombo” a “Sogni d’oro”, da “Bianca” (indimenticabile la scena in cui pesca cioccolato da un gigantesco barattolo di Nutella per spalmarla sul pane) a “La messa è finita”, da “Palombella rossa” a “Caro Diario”, passando per “A­prile”, “La stanza del figlio” (una svolta nel genere drammatico, il film che nel 2001 gli permette di vincere la Palma d’Oro a Cannes), “Il caimano” (la satira politica dopo l’impegno politico), “Habemus Papam”, “Mia madre” e infine “Tre piani”. Nel cortometraggio “Auto­bio­grafia dell’uomo mascherato” aveva invece raccontato la sua vita affrontando il secondo tumore, come aveva già fatto con “Caro Diario”.