«La nostra sfida? Medicina integrata e prevenzione»

Don Valerio Pennasso e Luca Servetto della Clinica “La Residenza” di Rodello presentano innovativi dispositivi robotici in ambito neurologico ed ortopedico

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La medicina punta in alto attraverso la ricerca, le nuove tecnologie, le specializzazioni; scava in profondità e si esprime come cura in un percorso non limitato. Nella Clinica “La Residenza” di Rodello questi due aspetti sono in continuo dialogo e si integrano nelle voci del dottor Luca Servetto, medico responsabile della struttura e di don Valerio Pennasso, direttore del centro e presidente della Fondazione dei Santi Lorenzo e Teobaldo, ente diocesano a supporto delle iniziative nel campo della salute.

Con loro parliamo degli ultimi passi compiuti dalla Clinica per quanto riguarda le malattie neurodegenerative e per l’assistenza intesa anche come prevenzione.
Partiamo dalle nuove collaborazioni…

«Il Covid ci ha fatto capire che l’introversione rischia di farci implodere: una regola che vale in tanti ambiti, a maggior ragione in quello medico. La collaborazione con il professor Gianluigi Mancardi, luminare in neurologia, operativo a Genova ma molto legato a Roddino per le origini della sua famiglia, ci ha supportato in un percorso sia verso il territorio, sia con partnership nazionali. Come testimonia il progetto avviato con l’Unione dei Comuni della Langa del Barolo per far sì che persone fragili possano mantenere una qualità della vita ottimale e con la collaborazione avviata con Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM) che ci porterà in autunno ad ospitare le delegazioni piemontesi per un convegno sulle novità diagnostico terapeutiche e riabilitative e sull’assistenza».

Questo si è tradotto anche nell’acquisto di innovative apparecchiature, quali nello specifico?

«Proprio insieme all’Aism abbiamo avviato nuove metodologie di lavoro con apparecchiature all’avanguardia. Stiamo conducendo degli studi per valutare l’impatto sui pazienti di terapie motorie e cognitive. Con i software a nostra disposizione raccoglieremo dati oggettivi sull’efficacia e sul loro corretto bilanciamento ma potremo anche studiare altre malattie neurodegenerative. Sono strumenti/devices che consentono di combinare stimoli motori e cognitivi in soggetti che per la loro patologia possono beneficiare di un approccio integrato. Stiamo inoltre definendo un progetto di ricerca clinica e di management diagnostico-terapeutico della ma­lattia di Parkinson in collaborazione con il Presidio San Camillo di Torino».

Chi può accedere a questo tipo di cure?

«Al momento possono accedere a queste attività di riabilitazione motoria e cognitiva solo i degenti. A breve potremo metterle a disposizione anche per ingressi ambulatoriali privati per fornire un servizio al territorio».

Perché questa particolare attenzione rivolta alle malattie neurodegenerative?
«Sta cambiando l’approccio verso questo tipo di patologie sia per ragioni epidemiologiche sia per motivazioni legate alla complessità clinica. L’invecchiamento della popolazione ha contestualmente portato ad un aumento della prevalenza di tali condizioni e la complessità dei quadri clinici richiede obbligatoriamente un approccio multidisciplinare e multimodale per garantire le migliori opportunità di trattamento. Senza dimenticare l’ambito ortopedico (es. protesi di anca/ginocchio e fratture di femore) che può altresì beneficiare dell’approccio innovativo garantito dalla tecnologia in nostro possesso».

Medicina integrata con le nuove tecnologie, a quali altri progetti state pensando?

«Numerosi, e tanti sono già realtà. Come la cartella clinica informatizzata. È una bella sfida ma anche un bel servizio poiché permette a più professionalità di dialogare su terapie, bisogni, supporti da fornire anche a domicilio. Stiamo inoltre guardando con interesse a un elettrocardiografo che consente un’applicazione più veloce e precisa degli elettrodi e inserisce l’esito direttamente in un cloud a cui il cardiologo può accedere anche da remoto per refertarlo in maniera tecnicamente corretta».

Qual è la sfida più importante che vi date per il prossimo futuro?

«Andare incontro alle persone mettendo in campo le nostre capacità per mantenere alta l’attenzione sulla cura intesa come riconoscimento delle fragilità e attività di prevenzione anche attraverso soluzioni di telemedicina. Questo significa dare una risposta anche in termini sociali potenziando le attività a domicilio e ambulatoriali, offrendo periodi di sollievo per le famiglie, sviluppando una progettualità che si estenda a una popolazione sempre più ampia con servizi di monitoraggio anche a distanza per seguire proattivamente le persone. Stiamo lavorando con un partner francese per un’iniziativa transfrontaliera. Oggi la cura è qualcosa di sempre più ampio che coinvolge diverse professionalità complementari, implica un costante rapporto con i caregivers, richiede capacità di flessibilità e di continua formazione. Le nuove tecnologie offrono opportunità e strumenti interessanti; la nostra voglia di fare, farà il resto».