«In America è nata la mia passione per le cellule»

Specializzata nel metabolismo del sangue e del ferro, Clara Camaschella è una delle ricercatrici più importanti. Sabato 8 giugno sarà ad Alba per presentare la sua autobiografia

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«Sono considerata una delle rare donne che hanno fatto car­riera in medicina alla fine degli anni Novanta». Così inizia il racconto di Clara Ca­maschella, una delle più importanti studiose del metabolismo del ferro: dalla Valsesia degli anni Sessanta alla Facoltà di Medicina di Torino negli anni Settanta e, dopo una borsa di studio oltreoceano, una lunga, prestigiosa, ma molto faticosa e complessa carriera scientifica alla scoperta dei misteri del sangue e del ferro. Sabato 8 giugno Clara Camaschella sarà ad Alba alle 17 nella chiesa di San Domenico ad illustrare la sua autobiografia, “La donna del ferro” edita da Neos Edizioni, un racconto di vita e lavoro dove, con ironia e leggerezza e un linguaggio schietto ma rigoroso, si affrontano anche tematiche complesse (il superamento di un handicap, la malattia), in particolare le difficoltà delle donne ad affermarsi negli ambienti universitari a causa del maschilismo.
La ricercatrice è nata a Varallo nel 1948, dopo la maturità classica si è laureata in Medicina a Torino e poi specializzata in Medicina Interna e in Ematologia. Una carriera legata a Torino dove ha svolto attività clinica alle Molinette e al San Luigi di Orbassano. Ordinaria di Medicina Interna dal 2000, dal 2004 ha ricoperto lo stesso ruolo all’U­ni­versità Vita Salute San Raffaele di Milano. Re­sponsabile di una Unità di Ricerca sul metabolismo del ferro è stata vicedirettrice della Divisione Genetica e Biologia Cellulare dell’Irccs Ospedale San Raffaele. Autrice di duecentottanta pubblicazioni scientifiche e collaborazioni a testi internazionali, ha fatto parte del Board della società di Ematologia americana Ash e dell’europea Eha.
Un momento particolarmente importante dal punto di vista scientifico ed emotivo è stata l’esperienza negli Stati Uniti: «ll professore – scrive Ca­maschella – capisce le nostre potenzialità e dopo pochi mesi ci propone un’occasione unica che suscita il nostro entusiasmo: uno stage di sei mesi presso un ospedale americano, seguiti da un suo amico, il professore italiano Liborio Tran­chida, che aveva fatto carriera alla Wayne State University di Detroit! … Gli insegnamenti ricevuti da Liborio, che era un medico molto preparato e un ottimo docente, sono stati molteplici e per noi, oltre che un amico, è stato un vero mentore… Per me è stato fondamentale il suo insegnamento al microscopio sulle cellule del sangue, compresi i globuli rossi e le loro anomalie, che ha stimolato il mio interesse per l’Ematologia e in particolare per le anemie. Mi ricordo di quando mi ha portato con sé all’ospedale dei Veterans, pieno di reduci del Vietnam malarici e mi ha fatto vedere, era la prima volta per me, il plasmodio della malaria sul vetrino».
Camaschella cresce in un mondo provinciale fatto di religione, suore, colonie estive e Azione Cattolica. Al liceo confida al suo diario le paure e la voglia di prendere in mano il proprio futuro.
La scelta della Medicina, all’Università di Torino, le fa scoprire un mondo nuovo i cui orizzonti si amplieranno ulteriormente durante uno stage negli Stati Uniti condiviso con colui che diventerà suo marito. Nel 1991 all’Ospedale San Luigi di Orbassano, secondo polo didattico dell’Università di Torino, inizia ad occuparsi della genetica molecolare dell’emocromatosi («è stato l’inizio di un’avventura molto bella che ha portato a capire la fisiologia del metabolismo del ferro e la sua sregolazione nelle malattie»). La sua carriera, prima a Torino poi a Milano, sarà una corsa ad ostacoli («quando il Consiglio di Facoltà si restringeva ai soli professori ordinari noi donne rappresentavamo sempre uno sparuto gruppetto, al San Raffaele ci si poteva contare sulle dita di una mano»). Ordinaria di Medicina Interna all’Università di To­rino, dal 2004 ha ricoperto lo stesso ruolo all’Università Vita Salute San Raffaele di Milano, passando da un’attività prevalentemente clinica alla ricerca scientifica.
«L’importante è chiedere molto a noi stessi indipendentemente dai risultati»: il mantra che le è stato ripetuto più volte è diventato regola di vita, consentendole di diventare figura di prestigio in ambito medico scientifico internazionale per le sue ricerche sul metabolismo e le patologie del ferro. Ha coordinato con successo due gruppi di ricerca, prima a Torino, poi a Milano. Grazie ai risultati e alle collaborazioni ha ottenuto premi prestigiosi, è stata presidente della Società Inter­nazionale per lo studio del ferro in Biologia e Medicina (BioIron), membro del board di riviste internazionali e di società scientifiche sia in Europa, sia negli Stati Uniti. «Nel caso di cariche elettive ho battuto uomini che consideravo molto più capaci di me, purtroppo sempre con il sospetto di aver vinto solo perché donna».
La prefazione del libro nel quale racconta il suo percorso di ricerca è di Silvia De Francia. I diritti d’autore saranno devoluti alla Fon­dazione Airc per la ricerca sul cancro.